È possibile che l’arrivo inaspettato di un ospite possa mettere in subbuglio una famiglia? I due coniugi e la giovane figlia? Basta questa presenza a turbare gli equilibri di una convivenza borghese di provincia, apparentemente soddisfacente nel suo ménage? Si, è possibile, perché l’ospite è il padre dell’uomo e quindi il suocero della donna, sua moglie. È un padre che non riconosce suo figlio, avendolo lasciato circa quarant’anni prima e non conosce per nulla la moglie di lui. Un padre defunto alcuni decenni prima che “decide di risorgere”.
Eccolo qui l’espediente narrativo che Giorgia Tribuiani utilizza per far muovere i suoi personaggi in una giostra di sentimenti, ricordi, pentimenti, rotture e riappacificazioni che, come in un gioco di specchi, mettono ciascuno dei protagonisti di fronte alla propria debole umanità. Il libro ha per titolo Padri e, al primo sguardo, potrebbe sembrare uno dei tanti volumi usciti ultimamente sulla perdita del padre, il ricordo del padre, la mancanza della figura e del ruolo paterno. Ma non è così. Padri, al plurale, mette a confronto intere generazioni. Coinvolge in modo articolato e a volte struggente la questione della radice, anche lontana, della propria identità. Quello che siamo e non credevamo di essere. Il confronto con il padre turba e disorienta. Tribuiani usa situazioni ed espedienti che richiamano direttamente le categorie psicoanalitiche: il padre si ferma ad abitare nell’appartamento “di sotto”, nella casa della famiglia di suo figlio. Si colloca cioè in una sorta di subconscio che ricorda, anche se solo superficialmente, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij. Da li, dal piano di sotto, egli interroga e turba la famiglia “di sopra”. Al punto che, a un certo momento, Clara, la moglie incredula di Oscar, dopo aver fallito l’imposizione di un aut aut al marito – “o lui o me” – va via di casa e si separa.
Più interessante di tutti è il ruolo di Gaia, la figlia della coppia che vive nella villetta e che è tornata a casa per le vacanze durante un periodo di studio a Roma. Forse perché priva di secondi fini e di retropensieri, Gaia si interroga e riflette. Tra tutti è la persona che ha il rapporto più sereno con il nonno venuto da chissà dove.
Il lettore, attraverso gli occhi della ragazza, può andare indietro nel tempo, può vedere le debolezze dei protagonisti raccontate con una cura e una intensità fuori dal comune che possono condurre fino a interrogare se stessi. C’è la forza glaciale di una madre che non è mai stata prodiga di abbracci con la figlia. Ci sono gesti compiuti nel passato con troppa distrazione e che riemergono quasi improvvisamente. Vi sono le tenere debolezze costitute dalla passione vorace per i pasticcini e le pastarelle a forma di cigno con panna e cioccolata.
Ma Padri non è una storia di fantasmi né la proposta intimista di chi si culla nella memoria ed è incapace di vedere il presente. I genitori di Gaia, Oscar e Clara e lo stesso Diego, padre di lui, concorrono tutti insieme ad animare un mondo in cui anche gli oggetti, gli animali e la natura partecipano silenziosi, ma attivi a una storia che pur narrando conflitti tra generazioni e tra generi, in realtà ci conduce verso le profondità del genere umano. Tribuiani è una delle scrittrici più interessanti e innovative nel panorama letterario italiano: con grande coraggio culturale affronta temi originali come quello del rapporto tra corpi e arte, tra corpi e relazioni umane: con questo suo ultimo libro mostra – ancora una volta – matura cifra stilistica, piglio deciso e grande personalità.