Si resta stupiti da quanto sia invecchiato rapidamente Il portavoce di Rocco Casalino davanti alla vera bomba della letteratura pop legata al mondo della politica, ovvero il libro-manifesto di Giorgia Meloni. La frenesia mediatica scatenata ancora prima dell’uscita attorno alla seconda fatica letteraria della segretaria di Fratelli d’Italia, ne ha immediatamente garantito il successo: quel genere di libro che comprano tutti, nessuno legge e non si mette in bella vista sullo scaffale.
In realtà, se Il portavoce si lascia leggere, Io sono Giorgia è assai meno scorrevole ed è lungo il doppio. Ad accomunarli è forse solo il topos del rapporto irrisolto con la figura paterna, decisamente più pregnante nel libro di Casalino. Lo stile della Meloni è verboso: periodi dalla lunghezza asfissiante sono intervallati da enumerazioni, domande retoriche e citazionismo spicciolo. Considerando che scrive davvero come parla, si tratta di un punto a favore dell’originalità della scrittura: un ghost writer avrebbe certamente sciolto diversi paragrafi dell’opera. Persino le sezioni trash o involontariamente comiche (e quindi rilevanti per la nostra rubrica), seppur presenti, sono immerse in oceani di pesantezza. Un’occasione sprecata per chicche come il soprannome al Fronte della Gioventù (Calimera), quella volta in cui ha dato fuoco per sbaglio all’appartamento di sua madre o le sue concessioni all’angelologia New Age.
Nella biografia di Giorgia, anche le parti più sentite o divertenti suonano programmatiche e questo stride con le rivendicazioni di genuinità umana (del tutto credibili), su quanto “Giorgia” e “la Meloni” coincidano. Invece, suona più propagandistico il racconto di come si sia fatta largo nel mondo sgomitando, trasformando le debolezze in punti di forza: le sezioni del libro, infatti, sono scandite dalle frasi del discorso celeberrimo, ormai meme e hit musicale. Il titolo stesso, del resto, è proprio Io sono Giorgia.
In tale struttura si incastra la storia delle sue radici e delle sue idee, come da sottotitolo. L’educazione sentimentale e politica dell’autrice vengono liquidate piuttosto rapidamente e il presente vivo di questi giorni di pandemia, sotto il governo Draghi, rappresenta il cuore del libro. L’abbandono del padre, i sacrifici della madre per crescere due figlie da sola, l’infanzia alla Garbatella, il bullismo subito in quanto sovrappeso, sono argomenti già risolti a un terzo del libro. Raggiunto quindi il presente, il libro smette i panni dell’autobiografia per lanciarsi in una lamentatio continua, autoassolutoria ed enfatica. Intervallato da qualche episodio retrospettivo, il discorso prosegue inarrestabile e infarcito di ogni genere di scorrettezza retorica, dall’argomento-fantoccio al cherry picking. Anche la descrizione della propria carriera politica è monotona, nonché un continuo inno alle magnifiche sorti e progressive del nucleo di Fratelli d’Italia, offrendo – se capita – l’onore delle armi agli avversari politici.
Per i coraggiosi che riescono ad arrivare in fondo, è in questi aspetti che si può trovare la forza – chiamiamola così – del libro: una narrazione martellante nell’esposizione dei suoi punti fondamentali (la propaganda contro il “gender”, la “cancel culture”, l’uso di sostanze stupefacenti, l’immigrazione, i rapporti con l’Unione Europea) che può risultare assai seducente per un pubblico più vasto della platea ex missina (senza deludere al contempo i vecchi camerati). Fierezza della propria identità tradizionalista, ma che strizza l’occhio alla modernità. Endorsement più o meno pronunciati verso personaggi discutibili quali Trump e Orbán, alternati all’elogio del ruolo di Fratelli d’Italia nella destra liberale ed europeista. Tanta autoironia sorvegliata, ma nessun accenno alla saga satirica della Ministronza di Alessio Spataro, che all’epoca la fece inalberare. Se il DNA alla base è granitico, il discorso riesce sempre a sembrare moderato – persino nelle esternazioni più radicali – grazie a un’aura di ragionevolezza continuamente ostentata. In questo, Giorgia – e lo ribadisce lei stessa – è una vera erede della poliedricità culturale della destra sociale italiana, quel carattere fuzzy (come lo definiva Umberto Eco) che consente ogni forma di cannibalizzazione culturale e politica, purché circoscritta a un’interpretazione coerentemente reazionaria.
Sono tutte ragioni per cui questo lungo spot retorico di Fratelli d’Italia, in forma di auto-agiografia della loro Giovanna d’Arco (cui l’autrice stessa si paragona) è una vera e propria candidatura alla Presidenza del Consiglio. Chissà se le urne daranno ragione a Giorgia, ma il libro dimostra due fatti: non avrà il talento della scrittrice, ma quello della politicante sicuramente sì.