Dopo aver letto Phallus Dei, ultimo romanzo di Giordano Tedoldi, il quadro “La quercia di Flagey” di Courbet (autore del famosissimo “L’origine del mondo”) sarà visto per sempre come la riproduzione di un vigoroso e schiumeggiante fallo eretto. Ce ne convince senza ombra di dubbio – facendoci anche sentire degli asini ingenui per non essercene mai accorti prima – Durkheim l’amministratore delegato della Axum ossessionato dalla virilità, dal pene e dal loro rapporto con il potere. In particolare dal pene del suo sottoposto Sodal (o Sòdal) che solo in virtù delle dimensioni della propria appendice sessuale, di cui peraltro non è per buona parte del romanzo consapevole, scalerà i vertici della grande azienda con il nome da obelisco. Da vicepulitore dei bagni, per di più bullizzato, ai vertici apicali della Axum.
Ma non siamo dalle parti di Perfect days, il film di Wim Wenders che tanto ha commosso gli spettatori. Seppure Sodal all’inizio del romanzo sia maniacalmente legato al suo lavoro che fa con una perfezione e una passione che non sfugge al suo dirigente, il romanzo prende tutt’altra direzione rispetto al film. Il lettore non viene trattenuto a indulgere sulla bellezza dei piccoli gesti ripetuti in una ricerca di ciò che si presume essere il senso ultimo della vita. Piuttosto veniamo trasportati attraverso la scrittura di Tedoldi che – come suo solito – cattura e abbacina in un vortice delirante a tratti frammentario e addirittura inconcludente che ci trascina con sé e ci porta in giro inesorabilmente affascinati e colmi di piacere anche se non sempre capiamo cosa stia succedendo o cosa significhi ciò che stiamo leggendo.
Possiamo certamente pensare che l’autore, parlando in continuazione di falli, e mettendoli al centro del romanzo, voglia in realtà velatamente o simbolicamente parlare di altro. In fondo la letteratura questo fa di solito, a maggior ragione se indulge dalle parti del sesso. E noi lettori ci sentiamo a posto con noi stessi e con l’autore se siamo venuti a capo del significato di ciò che stiamo leggendo. Eppure se interpretiamo metaforicamente Phallus Dei ci risulta un po’ banale o comunque già detto, mentre il suo porsi dalla parte maschile di contro alla decostruzione del soggetto che sembra essere al centro di ogni scrittura odierna che voglia mordere i tempi, risulta poco forte, poco deciso, alla fine addirittura poco rancoroso e quasi di un romanticismo d’altri tempi.
Abbandoniamoci quindi alla felicità della lettura e alla qualità più forte che ha questo romanzo: la capacità di scrivere propria di Tedoldi, così vuota e al tempo stesso così virtuosa, che stilisticamente mette lo scrittore ai vertici dei suoi contemporanei. In ogni caso, cosa c’è di più nichilista di parlare di cazzi vale a dire di niente in un modo così squisito? Un niente che sembra davvero cogliere l’aria del nostro tempo.
E a proposito di aria arriviamo alla musica che, ancora una volta, è così centrale nella scrittura di Tedoldi e segnatamente in questo romanzo a partire dal fratello di Sodal, il deranged Tino, musicista e direttore d’orchestra fallito alla cui musica è rivolta una critica che con un pizzico di cattiveria si può estendere al romanzo stesso: “Tutte le indicazioni di Tino erano cupe, pesanti, soggettive e incomprensibili, sempre meno legate all’espressione della frase musicale e sempre più a caccia di un significato nascosto, da nessuno intravisto.” Non manca poi una Rapsodia su un fallo leggendario scritto e suonato dalla giovane ungherese Erzsebet: “Officium Circumcisionis”. Ci si stupisce che al romanzo non sia allegato lo spartito tanto è ben descritta in tutte le sue parti musicali.
Un romanzo così folle non poteva che concludersi nel camposanto di Pisa davanti al Trionfo della morte di Buffalmacco un “artista senza scuola” che “resta un enigma, ed è difficile dire se sia lui, in quanto enigma, a imprimersi con persistenza sugli affreschi che risultano in ultima analisi incollocabili, indefinibili, stupendi, bellissimi; o se siano questi a non poter che suggerire l’immagine di un artefice, in definitiva, pazzo, o quantomeno molto stravagante, che continua a infestarci”. Forse Tedoldi parla di se se stesso? In ogni caso se è vero che Phallus Dei parla di niente al tempo stesso mi sembra esponga l’autore nella sua coraggiosa unicità alla quale non vuole rinunciare.
Ultima nota ironica. Il percorso di Sodal, protagonista di Phallus Dei, e quello dell’autore, sono di fatto due traiettorie opposte che si riflettono l’una nell’altra. Mentre nel romanzo Sodal raggiunge i livelli più alti di potere e controllo all’interno della compagnia Axum, l’autore sembra affrontare un cammino discendente nel mondo editoriale.
Tedoldi infatti esordisce nel 2006 con Io odio John Updike ben accolto dalla critica (pubblicato da Fazi editore e in seconda edizione da minimun fax), per poi pubblicare i suoi romanzi con editori sempre diversi e più piccoli fino a questo ultimo che ha faticato nel trovare una pubblicazione forse perché è un romanzo così anomalo e fuori dal pubblicabile. Allora Tedoldi come Tino, il fratello musicista fallito di Sodal, decise in questo modo: “Me lo pubblico da solo. Self-publishing. Un sacco di gente lo fa”. In un secondo tempo è arrivata la piccola e coraggiosa casa editrice siciliana Corrimano.