L’idea di questo libro percorre il tempo, se non dall’origine (ma potremmo supporre che ciò avvenga per varchi laterali), certamente da quanto si definisce “ultimo” in uno spazio prima analizzato e poi occupato. Perché, alla fine dei conti, Gilda Policastro questo fa, confronta ogni materiale raccolto negli archivi, ne scorre gli indici – costruendoli se non ne trova – e infine tiene ben stretto a sé il proposito di confrontare, cartografare, condividere con slancio un percorso che conosce bene, dilatando progressivamente l’attualità. Dunque, spazio e tempo vengono convogliati sulla pagina da un occhio preciso, indagatore e affabulante in perfetto equilibrio tra provocazioni avanguardistiche e questioni critiche tuttora sorvegliate. O rimesse in circolo da menti lucide e reattive accanto a fallibili prove di garbati (e avventati) epigoni. Se ne esistono di sgarbati, non intendiamo qui osservarli. Non sarebbe utile servizio alla raccolta di saggi e infastidirebbe invano l’autrice, ben lontana dai corteggiatori incompetenti.
L’insostituibile premessa attua un utile reloaded intorno ai Novissimi (era il 1961, ricordate?), a Sanguineti, a Balestrini, a Giuliani, e poi Pagliarani e Porta senza lasciare indietro Costa e magari Spatola, e giunge infine a nomi che per qualcuno potranno sembrare inediti: Ventroni, Giovenale, Ottonieri, Bortolotti, Inglese, e altri che inediti non sono affatto ma occorrerà ritrovarli in edizioni poco diffuse o microedizioni. D’altronde accadeva, è sempre accaduto. Il Laborintus del ’56 per l’editore Magenta… I Novissimi del ’61 per Rusconi e Paolazzi e molto altro occorrerà tirar fuori dai depositi, non accontentandosi di facili ristampe (ma non sempre ne esistono). Dobbiamo affidarci a Note, Indice dei nomi, Bibliografia, a quanto Policastro ci regala aiutando nel compito (spesso arduo) di assumere novità o titillare la memoria dei più anziani. Un ausilio che va considerato immergendoci nelle cospicue profondità che ogni capitolo del volume obbliga ad affrontare: le mutazioni nei decenni indotte alla poesia da salti d’epoca, salti tecnologici e perfino dall’ultima pandemia.
Se pubblico o non-pubblico di poesia desidera avventurarsi nei generi (se tale termine ha ancora un senso dopo il varco del secolo e la necessità di toglierli di mezzo auspicata da Giuliani più di sessant’anni fa), e nei giudizi in qualche modo mitici dell’avventura neoavanguardista, nei molti sensi in cui è possibile usare il termine “critica”, questo libro fa per voi. E se c’è bisogno di distinguere, di riscattare o disperdere antichi idilli, Policastro agisce nel mondo di progetti, difficoltà, ansie e mal di pancia. Senza dubbio qui si può capire quanto l’enigmaticità della poesia penetri nelle generazioni, non senza produrre danni talvolta (si pensi a Pound) ma spesso istituendo ricchi e sapienti imprevisti: un gran numero di sconfinamenti, potremmo dire, che hanno inaugurato – e si spera ancora inaugurino – pratiche e linguaggi utili a questi anni Venti del Duemila per molti modi terribili.
Ma il desiderio di storicizzare si sente fra le pagine, se non altro per aggiornare certe considerazioni o correggere analisi riguardanti soprattutto la situazione delle avanguardie. Da restituire al lettore prove e proposte non mancano, da Sanguineti a Ventroni i linguaggi che interagiscono con la realtà qui trovano analisi fenomenologiche assai precise e intriganti. Di fronte all’impoverimento delle tematiche il gesto di Policastro serve a esporre poetiche imbroglione e spregi virulenti disciolti nella liquidità contemporanea. Fra correnti e controcorrenti, addentrandosi in efficacia e intensità, testi per nulla agevoli, remix ironici o seri, tradizioni fin de siècle (ma giova ripensare ai capolavori Satura, Pasque e Postkarten, triade d’anni Settanta), la ricerca prosegue tra relazioni e sconnessioni fino all’avanzante robotizzazione del pensiero sperando che i nuovi-nuovi abbiano agio di rivolgersi al lettore con gran forza e minimi indugi (e verificabili materiali preesistenti) in questo tempo turbato.