Gilda Policastro / Prima, durante e dopo “l’ultima” poesia

Gilda Policastro, L’ultima poesia, Mimesis, pp. 195, euro 18,00 stampa, euro 12,99 epub

L’idea di questo libro percorre il tempo, se non dall’origine (ma potremmo supporre che ciò avvenga per varchi laterali), certamente da quanto si definisce “ultimo” in uno spazio prima analizzato e poi occupato. Perché, alla fine dei conti, Gilda Policastro questo fa, confronta ogni materiale raccolto negli archivi, ne scorre gli indici – costruendoli se non ne trova – e infine tiene ben stretto a sé il proposito di confrontare, cartografare, condividere con slancio un percorso che conosce bene, dilatando progressivamente l’attualità. Dunque, spazio e tempo vengono convogliati sulla pagina da un occhio preciso, indagatore e affabulante in perfetto equilibrio tra provocazioni avanguardistiche e questioni critiche tuttora sorvegliate. O rimesse in circolo da menti lucide e reattive accanto a fallibili prove di garbati (e avventati) epigoni. Se ne esistono di sgarbati, non intendiamo qui osservarli. Non sarebbe utile servizio alla raccolta di saggi e infastidirebbe invano l’autrice, ben lontana dai corteggiatori incompetenti.

L’insostituibile premessa attua un utile reloaded intorno ai Novissimi (era il 1961, ricordate?), a Sanguineti, a Balestrini, a Giuliani, e poi Pagliarani e Porta senza lasciare indietro Costa e magari Spatola, e giunge infine a nomi che per qualcuno potranno sembrare inediti: Ventroni, Giovenale, Ottonieri, Bortolotti, Inglese, e altri che inediti non sono affatto ma occorrerà ritrovarli in edizioni poco diffuse o microedizioni. D’altronde accadeva, è sempre accaduto. Il Laborintus del ’56 per l’editore Magenta… I Novissimi del ’61 per Rusconi e Paolazzi e molto altro occorrerà tirar fuori dai depositi, non accontentandosi di facili ristampe (ma non sempre ne esistono). Dobbiamo affidarci a Note, Indice dei nomi, Bibliografia, a quanto Policastro ci regala aiutando nel compito (spesso arduo) di assumere novità o titillare la memoria dei più anziani. Un ausilio che va considerato immergendoci nelle cospicue profondità che ogni capitolo del volume obbliga ad affrontare: le mutazioni nei decenni indotte alla poesia da salti d’epoca, salti tecnologici e perfino dall’ultima pandemia.

Se pubblico o non-pubblico di poesia desidera avventurarsi nei generi (se tale termine ha ancora un senso dopo il varco del secolo e la necessità di toglierli di mezzo auspicata da Giuliani più di sessant’anni fa), e nei giudizi in qualche modo mitici dell’avventura neoavanguardista, nei molti sensi in cui è possibile usare il termine “critica”, questo libro fa per voi. E se c’è bisogno di distinguere, di riscattare o disperdere antichi idilli, Policastro agisce nel mondo di progetti, difficoltà, ansie e mal di pancia. Senza dubbio qui si può capire quanto l’enigmaticità della poesia penetri nelle generazioni, non senza produrre danni talvolta (si pensi a Pound) ma spesso istituendo ricchi e sapienti imprevisti: un gran numero di sconfinamenti, potremmo dire, che hanno inaugurato – e si spera ancora inaugurino – pratiche e linguaggi utili a questi anni Venti del Duemila per molti modi terribili.

Ma il desiderio di storicizzare si sente fra le pagine, se non altro per aggiornare certe considerazioni o correggere analisi riguardanti soprattutto la situazione delle avanguardie. Da restituire al lettore prove e proposte non mancano, da Sanguineti a Ventroni i linguaggi che interagiscono con la realtà qui trovano analisi fenomenologiche assai precise e intriganti. Di fronte all’impoverimento delle tematiche il gesto di Policastro serve a esporre poetiche imbroglione e spregi virulenti disciolti nella liquidità contemporanea. Fra correnti e controcorrenti, addentrandosi in efficacia e intensità, testi per nulla agevoli, remix ironici o seri, tradizioni fin de siècle (ma giova ripensare ai capolavori Satura, Pasque e Postkarten, triade d’anni Settanta), la ricerca prosegue tra relazioni e sconnessioni fino all’avanzante robotizzazione del pensiero sperando che i nuovi-nuovi abbiano agio di rivolgersi al lettore con gran forza e minimi indugi (e verificabili materiali preesistenti) in questo tempo turbato.