Il romanzo di Gilda Policastro dimora in una primavera proustiana – ma con ombre niente affatto premurose – e in quella parte del romanzo sanguinetiano chiamato Postkarten: qui sta il riguardo forse leggermente psichedelico di chi scrive, ma che non si dà pace della scomparsa di certe ipotesi novecentesche. Necessaria la registrazione della quotidianità che dispone l’Antefatto, così come quotidianità e generi letterati (copyright Antonio Porta) venivano mescolati – ma con che astuta grazia gattolupesca! – nella raccolta pubblicata nel 1978 dal poeta e critico genovese. Necessario dunque inoltrarsi nelle prime pagine del romanzo, immaginose quanto può esserlo l’incipit di un giallo desiderante e desideroso di affermarsi nelle tasche e nella psiche del lettore. Tasche e psiche ben meno che innocenti, si sa. Così come, per fortuna, la scrittura millimetrica di Policastro non dà spazio a alcuna innocenza e smalti didattici e solidali. Né a funebri rimembranze rapinate a maestri non consenzienti per evidenti ragioni anagrafiche.
Così come era apprezzabile leggere a voce alta la serialità a tutta pagina delle poesie di entrambi i poeti (Sanguineti in anni Settanta del Novecento, Policastro in anni Dieci del Duemila), oggi possiamo blindarci nei capitoli elastici della Parte di Malvasia, inserendo segnalibri dove ci piace e dove sembra di aver colto un punto fermo dell’indagine – per poi franare irrimediabilmente poche righe dopo. Chi scrive assume su di sé, leggendo, diverse signorilità retoriche, che ispirano una commozione favorita senza dubbio dall’età ma di più dal preciso pensiero che, come Postkarten preparava alla poesia, La parte di Malvasia prepara al racconto, o meglio, alla prosa. Maggior rilievo, rispetto ai libri precedenti dell’autrice, appare la ragione costruttiva che con un pizzico di vanità riconduce a certe prove in bell’evidenza (sulle copertine colori e linee in pieno boom d’italico design) alla metà del secolo scorso negli scaffali librari: chi si emoziona ancora nominando Capriccio italiano e Nuovo commento? Pochi hanno gesti “felicemente prensili” alle prese con letture critiche riguardanti oggetti letterari – fra questi Policastro ha testimonianze da vendere, basta osservarne la pubblicistica e gli aromi sparsi in rete.
Ma di cosa parla il romanzo, e cosa tollera delle cose del mondo? Domande errate, ahimè, di cui a malapena riusciamo a trovare necessità, pur sapendo che i lettori cercano in un libro sempre quello che non c’è. Vi si rintracciano invece pensieri vaganti – avulsi dai corpi che dovrebbero produrli – intorno ai metodi da ricercare negli svariati generi letterari: una carovana di bolle contenenti il pensiero del poliziotto, della vittima, dell’assassino, del critico letterario, del lettore stupido, dei confidenti e delle madri. Una commistione di gran qualità che, pagina dopo pagina, genera il plot narrativo come se all’improvviso i “gialli” nella vetrina di un’edicola cominciassero a sfarfallare intorno ai saggi di Enrico Filippini seguendo un copione scritto da Germano Lombardi in combutta con Corrado Costa. Più che sfumature qui riconosciamo efficienze coloristiche per niente astratte, a ogni pagina la somma dei colori puri non fa che attingere al giallo secondo una razionalità degna di Manganelli. Vietato rilassarsi, o azionare detector allo scopo d’inseguire indizi. Se mai inseguiti sono i lettori, per lo più delinquenti in numero ben maggiore. Forse La parte di Malvasia si sforza di discriminare i materiali caotici del mondo e coloro che vi sono asserviti raccontando peripezie locali (topografiche) e psichiche. Il forse è d’obbligo per il recensore, se ha una dose di coscienza e una vista inselvatichita dal noir.
Malvasia parla da viva o da morta? In entrambi i casi l’artificio forma il racconto, almeno quanto altri personaggi si rovesciano diventando vittime mancine e protagonisti, figure drammatiche e d’intrattenimento a cui il perbenismo letterario sta stretto – esattamente come all’autrice. Un’avvertenza: il gusto di questa lettura ha diverse classi emozionali, dall’introversione notturna alla laconicità mattutina bisognosa di dolciumi e caffè, ma vale la pena intendere i presupposti letterari di Policastro che incoraggia il temperamento un po’ pedante dei protagonisti a mescolarsi l’un l’altro nel commercio col male. Ma qui non s’investiga il delitto, ma il maledetto piacere del testo.