Gianni Iotti / Attacco alieno o allucinazione?

Gianni Iotti, La marcia, Giovane Holden Edizioni, pp. 178, euro 14,00 stampa, euro 4,99 epub

Alcune istruzioni per l’uso, anzi consigli ai potenziali lettori di questo libro. Quasi una regola della marcia (di cui al titolo): si raccomanda cioè di vincere l’istinto che spingerebbe ad andare avanti, sempre avanti, senza tirare il fiato, e si propone di affrontare il romanzo un poco alla volta, possibilmente un capitolo al giorno, un capitolo solo, resistendo alla curiosità di conoscere che cosa accadrà nel segmento successivo. Sono diciotto in tutto, i capitoli del romanzo, a scandire un itinerario che, in un mondo sconvolto, porta dall’Italia fino agli estremi confini d’Oriente, in Vietnam, tra inenarrabili (ma ben narrate) vicissitudini: un tempo di diciotto giorni, circa dieci pagine al giorno, garantisce uno spazio sufficiente di decompressione, rispetto agli stimoli fortissimi che queste pagine inducono. Il romanzo di Gianni Iotti (il secondo, dopo l’esordio nel 2022 con Te-fa-min, sempre per le edizioni Giovane Holden) procede attraverso campi complessi di concetti, riflessioni e richiami intertestuali che s’innestano su un genere tradizionale eppure sempre attuale come quello catastrofico, senza ingolfarne la linearità narrativa, senza intralciare l’azione, che infatti si dipana spedita, di tappa in tappa, risalendo un fiume nero come quello di Cuore di tenebra.

Sempre attuale, il genere catastrofico, perché ogni epoca ha le sue catastrofi, ognuna di esse in fondo una sola, quella definitiva che incombe su tutte: ed è questa catastrofe appunto che Iotti fotografa nell’animo e nelle viscere della nostra civiltà e degli individui che ne fanno parte. Le circostanze esterne – un’invasione di alieni, che decimano la popolazione umana senza una ragione apparente, alleandosi con forze trascendenti e misteriose, occhieggianti da profondità insondabili, quasi entità lovecraftiane – sono in realtà gli agenti necessari di un inveramento che porta alla luce la mancanza di senso del nostro essere, gli infingimenti sui quali si reggono (precariamente) le aspirazioni alle magnifiche sorti e progressive di questa specie effimera di cui facciamo parte.

Iotti, raffinato studioso di letteratura francese (alla quale non mancano in questo romanzo gli ammiccamenti e i richiami), fa conti amarissimi con il retaggio della cultura dei lumi, con le sue illusioni (e quindi con se stesso): un capitolo al giorno è necessario anche per assorbire i succhi densi, anche tossici, delle situazioni spesso estreme che La marcia inanella, delle scene di violenza fisica e mentale, mai gratuite, ma anzi inevitabili nella messa a nudo progressiva di Geno, il protagonista-narratore, che scopre nella propria passività, nella sua vocazione all’inazione contemplativa, gli stessi germi di disperato nichilismo con il quale il fratello Golo si rapporta al mondo. Se Geno è un osservatore (il principio scopico s’incarna in lui con prevalenza esemplare), in Golo invece predomina il principio dell’azione, impulsiva e spesso condotta fino e oltre i limiti della violenza gratuita, del compiacimento sadico. Ma Golo e Geno, in realtà, sono due facce della stessa medaglia, una personalità sola e scissa in due individui che non possono fare a meno l’uno dell’altro e che si corrispondono: la brutalità di Golo è opposta e complementare alla sensibilità fredda, cerebrale di Geno, vero e proprio entomologo dell’interiorità, delegato a definire il senso di ciò che Golo perpetra per istinto e talvolta incline a replicarne le azioni, ma senza smarrire mai la sua algida lucidità di analisi.

Un capitolo al giorno, fino a quello finale con la sua irredenzione, con il suo esito inevitabile che allinea ancor più il romanzo di Iotti con i suoi precursori, le storie di flagelli, estinzione e sopravvivenza come The Last Man di Mary Shelley o The Purple Cloud di Matthew P. Shiel (come questo romanzo, narrati in prima persona), e ancor di più con opere in cui il topos fantascientifico è un pretesto per una impietosa dissezione dell’umano, come il folgorante esordio narrativo di Thomas M. Disch, The Genocides, basato sullo stesso motivo di una spaventosa aggressione aliena che mette in luce l’insignificanza dei nostri destini, individuali e di specie, nell’economia generale dell’universo. Un’opera insolita nel panorama della letteratura italiana, di genere e oltre il genere, che lascia alla fine sazi, esausti e sgomenti.