Ormai profughi in casa propria, Andrej e Arvo, amici da sempre, decidono di lasciare la loro città, lacerata e distrutta dalla guerra, per rispondere a un richiamo, a una suggestione che proviene da un foglietto di propaganda: la “Sublime Costruzione” ha bisogno di loro! L’invito è rivolto a uomini e donne e promette lavoro per tutti: “Ognuno potrà dimostrare le sue doti e le sue abilità!” Un cantiere perenne che offre l’occasione per riprendersi la dignità che spetta a ciascuno. Ai margini della città distrutta, una corriera aspetta i viaggiatori diretti al sublime edificio.
Vista così, la narrazione di Gianluca Di Dio può sembrare addirittura una feroce parodia della vita del nostro tempo. Con i giovani che cercano lavoro al nord e che sono rincitrulliti dalla retorica neocapitalista che scarica su di loro tutta la responsabilità dello sfruttamento: noi ti diamo un’occasione, se non ce la fai è solo colpa tua. Ma il libro è molto più complesso. La Sublime Costruzione è un potente romanzo distopico che unisce l’ansia per un futuro sconosciuto, sorprendente, irreversibile e ineluttabile con il percorso interiore di esseri umani che, vivendo certe esperienze, non possono non interrogarsi sul senso della vita e sul tema della sopravvivenza.
Ma quali sono le esperienze che Andrej e Arvo si trovano a vivere una volta che sono stati accettati dai reclutatori per intraprendere quel viaggio? L’autore, parmense, trasferitosi a Bologna, per rispondere a questa domanda fa appello alla sua grande preparazione culturale e utilizza gli episodi dell’Odissea, piegandoli al presente, per costruire altrettanti contenitori narrativi. Ci imbattiamo così in una sorta di collana di luoghi – a volte onirici, a volte materiali, ma tutti sufficientemente inquietanti – in cui i protagonisti fanno i conti con la forza seduttiva delle sirene, incontrano Polifemo, Circe e i Lotofaghi, e infine attraversano il regno dei morti. Tutto viaggiando in un enorme autobus bianco, da cui si può scendere per poi risalirvi in fretta, misurandosi con situazioni sconosciute oppure, più drammaticamente, per cercare del cibo.
Ma si tratta di un viaggio di formazione? In fondo fra tante situazioni simboliche il romanzo inizia con una invasione delle acque che, se è vero che travolgono la città, è anche vero che restituiscono alla vita i due guerrieri, Andrej e Arvo, che come due giovanissimi si apprestano ad affrontare il (nuovo) mondo. La vita e la morte, la speranza e l’utopia, la paura e la disperazione sono sentimenti con i quali il lettore stesso sembra chiamato a misurarsi, non solo i due protagonisti. Fare i conti con tutto questo sembra essere premessa indispensabile per iniziare una nuova vita quando si è raggiunta la “Sublime costruzione”. Tanto più forte è questa necessità quanto più maestosa e illuminata si erge ai confini del mondo.
In questi aspetti Di Dio riesce a dare il meglio riprendendo lo stile e i toni del poema omerico per conferire alle riflessioni sulla vita e la morte una dimensione epica che ci libera dagli approcci spesso decadenti e intimisti di certa letteratura contemporanea.
C’è tutta l’attualità del mondo nel libro: dall’ossessione per i corpi scultorei, palestrati e gonfi di anabolizzanti, alla rappresentazione di Circe in una sessualità perenne che serve a produrre film hardcore, fino alla lotta per la sopravvivenza e per un po’ di cibo. L’autore mette in gioco una scrittura elegantissima, talmente bella da risultare un ristoro per il lettore che si immedesimasse troppo nelle vicende di Andrej e Arvo e dei loro amici conosciuti sul bus. L’epilogo infine ha un tratto poetico, forse religioso, che è bene non raccontare in questa sede in modo che tutti ci si possa misurare con la necessità della speranza.