Dal postmodernismo in poi, la rivolta dei personaggi contro la tirannide, spesso inutile e talvolta anche perversa di chi li ha inventati, è diventata qualcosa di simile a un cliché. In effetti, ha spesso dato vita a narrazioni pretenziosamente cerebrali, basate sulla ritorsione nei confronti degli schemi più convenzionali della creazione letteraria, ma che tendevano infine a ricadere entro i confini di un pastiche metaletterario piuttosto studiato. Una sorta di grande impalcatura teorico-critica con un vuoto pneumatico al proprio interno.
Non è questo il caso di Pluriball di Gianfranco Mammi, anche perché lo scrittore qui è un personaggio al pari degli altri e la sua perversione consiste nell’uccidere, in serie, i propri personaggi, facendo credere loro di essere in balia di tutt’altro tipo, molto più comune e “realistico” – se così si può dire – di serial killer. La bile e la sete di vendetta rasentano, piuttosto, la disperazione, benché questa filtrata attraverso una sorta di ironia onnipresente, con effetti non di rado grotteschi, che fa sorridere – e molto – il lettore.
Leggendo Pluriball, infatti, si ha quasi sempre il sorriso sulle labbra, arrivando quasi a dimenticare quella punta di nichilismo che sottende l’intera narrazione, la cui causa peraltro si viene a scoprire molto avanti, nella lettura. Paradossalmente, però, è proprio questa sorta di understatement che rende la sensazione del vuoto, per chi legge, meno artefatta e studiata, e quindi più efficace.
Inoltre, i riferimenti più evidenti del testo sono giocati in un continuum – che è quello realmente esistente, al di là delle distinzioni più tradizionali – tra cultura “alta” e cultura “pop”. A quest’ultimo proposito, Ermanno Paccagnini ha giustamente ricordato, nella sua recensione per La Lettura, come le pagine iniziali – perlopiù ambientate nell’alto dei cieli – possano ricordare A volte ritorno (2011) di David Niven. Vi si può aggiungere una sorta di ripetizione infinita degli eventi circostanti lo sviluppo della narrazione – in questo caso, una tappa tragicomica del Giro d’Italia, lungamente sorvegliata dagli elicotteri che sorvolano la città – che non può non evocare il film del 1993 Ricomincio da capo, universalmente noto come Il giorno della marmotta, con Bill Murray e Andie MacDowell.
Questo, per dire che non vi è distinzione possibile tra “alto” e “basso” in una narrazione che appare superficialmente di genere: è un giallo, tuttavia, dove i personaggi spaziano da Dio e i suoi arcangeli, in lotta con il demone Adrammelech, fino ai più scalcagnati abitanti di una non meglio precisata città italiana, giù giù fino a un bambino e al suo amico immaginario – che tanto immaginario non è, vista la commistione di piani e livelli che il romanzo costruisce pagina dopo pagina. Se è qui impossibile rendere conto di tutti i personaggi – basti dire che le vittime dello scrittore iniziano tutte con la lettera B e occupano un intero paragrafo – e si lascerà dunque al lettore il gusto di scoprirli, occorre però sottolineare che le peripezie di molti di loro costituiscono infinite digressioni all’interno dell’impianto narrativo di fondo. Ne deriva una moltiplicazione dei punti di vista, delle focalizzazioni e anche dei registri linguistici (un altro pregio del romanzo è la torsione espressionistica del linguaggio, che pure risulta spesso moderata e, di conseguenza, sempre godibile) che spiazza le aspettative basate su un singolo genere letterario e porta verso considerazioni di altro tipo.
Si prenda, ad esempio, uno dei filoni della trama più interessanti e significativi: la storia della relazione a distanza di due Hikikomori che, a un certo punto, si interrompe, per la decisione di uno dei due personaggi di uscire a perlustrare il mondo esterno. Ed è forse questa una chiave di lettura possibile dell’intero romanzo: la letteratura fa parte di quell’enorme gioco tra “virtuale” e “reale” che ha messo radici nella società contemporanea, istituendo una lotta che può avere toni metafisici e apocalittici – come lo scontro tra Dio e i suoi arcangeli e il demone Adrammelech – ma che può anche risolversi, più banalmente, in una serie di scoppi del “pluriball” che avvolge la realtà, o quel che ne resta.