I labirinti di Stephen King

Giada Cecchinelli, Shining. La voce del Re Rosso, Weird Book, pp. 138, euro 19,90 stampa

Che il libro Shining di Stephen King sia un archetipo della narrativa moderna, lanciato da tempo oltre i paletti del genere, è già stato dimostrato con ampiezza di esempi dal cinema, il più grande contenitore di miti che abbiamo a disposizione. Al di là delle due versioni ufficiali di Stanley Kubrick e Mick Garris, non si possono dimenticare i documentari Room 237 (2012) di Rodney Ascher, Making the Shining (1980) di Vivian Kubrick (terzogenita del regista) e The Shining Code (2013) di Michael Wysmierski, la “rivisitazione” di Stephen Spielberg in Ready Player One (2018), la versione “di ritorno” di Mike Flanagan in Doctor Sleep (2019). Per ricordare che ogni autore, accostandosi al mondo dell’Overlook Hotel, ha tolto o aggiunto qualcosa, spesso anche del suo, perché la storia rappresentata in Shining è un’esperienza basica e primordiale con elementi messi in scena di valenza universale. Ed è questa una delle ragioni per cui a distanza di oltre 40 anni “Shining fait encore couler beaucoup d’encre”, per citare quel che scrisse allora Jean Marc Lofficier su L’ecran fantastique.

Ma ci troviamo soltanto nel territorio delle ricadute filmiche che, ovvio, mi servono per introdurre il discorso sull’affascinante libro di Giada Cecchinelli intitolato Shining, La voce del Re Rosso (Weird Book), opera  che non tiene assolutamente in conto dei vari prolungamenti interpretativi dell’industria dello spettacolo. Cecchinelli che già aveva vivisezionato la saga della Torre Nera nel precedente La Torre. Viaggio nel macroverso di Stephen King, edito sempre da Weird Book e uscito nel 2018, si sofferma soltanto sul testo kinghiano, senza lasciarsi tentare da raffronti, spontanei e quasi inevitabili, con le versioni filmiche. Anticipo che trattasi di un libro meraviglioso (che King dovrebbe leggere per scoprire aspetti del sé che magari ignora) e che ti inchioda ancora prima iniziare a sfogliarlo sul titolo e la copertina.

In quest’ultima ci troviamo fuori dall’Overlook Hotel che, a onore del suo nome, domina la scena sullo sfondo, leggermente dall’alto. Esterno innevato con una vasta pozza di sangue che si allarga sino alla mitica ascia brandita da Jack Torrance e nella pozza, quasi sospese sopra, le gemelle Grady. Ancora dentro la pozza di sangue il titolo del libro. Il rosso sembra predominare per quanto divida equamente la scena con il bianco della neve e il bleu gothic della notte invernale.

Certo, sono alcuni degli elementi grafici caratterizzanti la storia e le copertine, quasi sempre, esprimono una potente e sintetica valenza metaforica. Ma questa, prodotta dall’eccezionale Giorgio Finamore (visitate il suo sito per assicurarvi un autentico Viaggio nell’Altrove) è un progetto che va “oltre” – appunto, Overloock. E ci pone il Problema con la maiuscola: che ci fa il Re Rosso del titolo sulla scena di Shining, dato che il personaggio in questione è un perno della saga della Torre Nera (il primo volume, L’ultimo cavaliere esce nel 1982, più altre tre “comparsate” in Insomnia, La casa del buio e Cuori in Atlantide, tutti editi da Sperling & Kupfer), mentre la “splendida festa di morte” è stata concepita e scritta da King nel 1975? Ovvio che non è una svista, ma un’evidente e coraggiosa dichiarazione di “poetica” che tiene in conto del tempo quantico nel mondo mentale dello scrittore per il quale il “prima” e il “poi” hanno ben poco senso – pensate solo a quanti prequel sono stati scritti dopo un’opera prima, spesso sollecitati ma anche no (il prologo di Shining, Before the Play, ha visto la luce soltanto nel 1982 sulla rivista Whispers Magazine).

Giada Cecchinelli, tuffandosi nell’inconscio della famiglia Torrance, si lascia trasportare da tanto anomalo fluire e coglie l’essenza del male kinghiano in una bolla energetica di colore rosso (il fluido mortale degli anni Cinquanta?) in grado di esplodere, saturando gli spazi della fruizione. Non a caso l’Overlook è qualcosa di più di una casa infestata. L’albergo è una gigantesca “casa impregnata”, un ventre materno gravido e allucinato dove ha trovato casa il Re Rosso, prima dentro e sotto la terra poi invadendo le erigende mura sin dalla posa della prima pietra, presumibilmente nell’anno 1907.

“King non definisce il Re Rosso come personaggio ma piuttosto come concetto, come il male, qualcosa che per sopravvivere si nutre di orrore, di errori, fraintendimenti, pulsioni di morte» e «l’albergo con i suoi occhi eternamente fissi, con i suoi rumori raccapriccianti, con le sue distorsioni, è come un corpo vuoto, la marionetta macabra del Re Rosso che tira le fila. Egli vive infido nei sussurri della grande casa, nelle pieghe inquietanti che assumono le cose: le siepi in movimento, le apparizioni fantasmatiche, i rumori di festa e le maschere, il sangue che trasuda da un orologio” (pp. 104 – 105).

In tanta esplorazione di un tempo “retrogrado” sulle tracce di un personaggio che esiste da sempre, Cecchinelli si sofferma sul colore dominante l’Overlook e sul debito poesco de “La maschera della Morte Rossa”, racconto espressamente citato più volte da King in Shining. Se il rosso diventa anche un suono o un graffito al contrario (diabolico) con REDRUM, l’essenza cromatica del sangue domina più di una scena e un passaggio del testo e, perlomeno su questo versante, Kubrick ha reso giustizia alla “visione” di King che “vede” rosso spesso e volentieri, a cominciare dal Maggiolino (l’auto dei Torrance, gialla nel film per motivi che sapeva solo Stanley) e rossa è la collera di Jack che appunto soltanto quel colore ti fa vedere.

In tanto vagare dentro il cuore della Cosa-Albergo, Cecchinelli ci rende partecipi di una intuizione che sta a metà strada tra il prodigioso e il medianico.

“Gli uomini sono sempre tesi verso la vita e, per quanto il mondo urli che una fine esista, tutti invariabilmente si chiudono nei loro micromondi e lasciano fuori quel messaggio. Anche oggi l’idea della catastrofe e della morte ci sfiora per le notizie di cui veniamo bombardati dal mondo esterno. Uragani, guerre, malattie. E nel momento in cui apprendiamo che la morte esiste ce la sentiamo addosso, si incolla come una seconda pelle. Ma è una sensazione breve: siamo bravi a dimenticare, a fingere che la cosa non ci tocchi e così ci riuniamo nella nostra casa con le persone che amiamo, frequentiamo quei luoghi che ci fanno stare bene e, subito, quel tormento svanisce. Allontaniamo il male continuamente, perché per noi non è ammissibile credere che in qualche modo possa toccarci.”

Riflessioni su un romanzo “di genere”? Per caso, horror? Ma non scherziamo. Non ho mai letto una rappresentazione tanto lucida e tagliente del COVID 19 e del suo rapporto “panico” con il pianeta. Ancora a ridosso di un’icona. E, per dirla con Cecchinelli (p. 9), “un catalizzatore capace di attrarre generazioni diverse e di fermare il tempo, non a un singolo momento storico, ma ad un luogo, l’Overlook, la casa del male.”

Shining, la voce del Re Rosso, l’Antagonista del pianeta Terra.

Siamo tutti Jack Torrance.