Giacomo Traina / Dov’era l’Es ci sarà il Vietnam. La dura vita dell’Infiltrato

Giacomo Traina, Riflessi di guerra. Storia e antirealismo nella narrativa di Viet Thanh Nguyen, Ombre Corte, pp. 190, euro 18,00 stampa

Lo storico è colui che non si accontenta delle narrazioni ufficiali. Lo storico è colui che, di fronte a una versione ufficiale di un evento, che colloca i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, non si accontenta, va a cercare le sfumature, e si accorge che anche i buoni hanno fatto cose orribili, e che i buoni di un tempo, dopo aver preso il potere, si sono trasformati in oppressori. Questo basta per affermare che nessuno è innocente e quindi dobbiamo assolvere tutti? Certamente no. Le condanne della Storia, riguardo dei periodi storici ben specifici, sono inappellabili. Basti pensare al giudizio degli storici sulla strategia della tensione, una vicenda in cui è piuttosto chiaro chi fossero i cattivi. Non dimentichiamo chi è che ha scritto un libro intitolato Nessuno è innocente. Quindi – a distanza di 50 anni dalla caduta di Saigon, il 30 Aprile del 1975 –- è importante andare a cercare le zone d’ombra e indagare a fondo tutte le vicende che ruotano attorno alla Guerra del Vietnam e al dopoguerra vietnamita, quella vera e propria “guerra dopo la guerra” che ha visto la fuga di milioni di persone dal loro paese di origine, i cosiddetti boat people. Ma non dimentichiamo chi è che ha distrutto intere foreste con il napalm, chi è andato a bombardare chi.
Non capita spesso di leggere un’opera, come Riflessi di guerra di Giacomo Traina, che unisca al rigore scientifico dell’analisi il piacere della lettura di un testo che ricostruisce avvenimenti che ci hanno coinvolto in modo viscerale. Il libro, oltre a essere ricchissimo di notizie storiche e di informazioni che fino a poco tempo fa erano inaccessibili, si rivela una lettura piacevole e avvincente, perché in Vietnam noi ci siamo stati, ci siamo stati tutti, come scrive Michael Herr nei suoi Dispacci. Grazie a film come Apocalypse Now, Full Metal Jacket, Platoon, Hamburger Hill, grazie alle opere di Heller, Vonnegut, O’Brien, a Herr, siamo stati tutti in Vietnam. Tutti noi abbiamo provato un tuffo al cuore svegliandoci all’improvviso e rendendoci conto di essere ancora a Saigon; tutti noi ci siamo ritrovati a sobbalzare in mezzo alla giungla sentendo un fruscio sospetto, siamo rimasti terrorizzati quando abbiamo intravisto un’ombra che scivolava fra i cespugli, abbiamo tremato a ogni passo per la paura di incappare in una delle micidiali trappole di bambù disseminate nella foresta. Tutti noi siamo stati mandati in Vietnam in missione per uccidere il Colonnello Kurtz, o per scoprire il Kurtz che è dentro di noi. Il Vietnam è diventato un luogo dell’immaginario occidentale, una parte essenziale dell’inconscio dell’Occidente. Siamo prigionieri della “fatticità” del Vietnam, come direbbe Harold Bloom.

La seconda parte del libro si occupa più nel dettaglio di un’opera che ha dato il via in questi anni a tutto un nuovo filone di Vietnam studies e di Vietnam memoirs: Il Simpatizzante di Viet Than Nguyen (2015), ispiratore di una fortunata serie televisiva HBO del 2024 creata da Park Chan-wook e Don McKellar. In estrema sintesi, questo memoir si colloca in un clima politico-culturale sempre più diffuso che propone la narrazione di una impossibile rivincita di tutti i Sud del mondo, compreso il Sud Vietnam, come abbiamo visto il 6 gennaio 2021, il giorno dell’Assalto a Capitol Hill. In quella occasione, accanto alla bandiera degli Stati Confederati del Sud abbiamo visto sventolare anche la vecchia bandiera del Vietnam del Sud, quella con le tre strisce rosse in campo giallo, cioè la bandiera di uno stato che non esiste più, che ha cessato di esistere quel maledetto Aprile (il più crudele dei mesi, anche secondo Nguyen) del ’75.
Oggi non basta più analizzare la Guerra del Vietnam come uno sfondo metafisico sul quale si svolge la sconfitta della cultura occidentale giunta ormai al capolinea, come nella Waste Land di T. S. Eliot. Oggi ci si deve interrogare su come sia possibile che un film dichiaratamente contro la guerra come Apocalypse Now sia diventato un punto di riferimento per quei ragazzi americani che hanno il mito delle armi e vorrebbero partire per combattere contro i comunisti vietnamiti, perché hanno sentito il nonno raccontare le sue esperienze sanguinose in Vietnam.
Il Simpatizzante di Viet Than Nguyen è un libro che ha fatto emergere un filone di memoirs e di saggi che hanno iniziato a raccontare la storia della Guerra del Vietnam dalla parte dei vietnamiti, sia quelli rimasti dopo la caduta di Saigon, sia gli espatriati vietnamiti in America dopo il 1975, sconfitti e umiliati, ma motivati ad agire dal sogno impossibile di una rivincita. È importante recuperare tutto il periodo e gli accadimenti dopo la caduta di Saigon, gli accadimenti che fanno emergere le contraddizioni di un regime rivoluzionario che ha imposto un controllo ferreo sulla popolazione, del conflitto sino-vietnamita del 1979, della guerra strisciante tra i Vietcong e i Khmer Rossi della Cambogia. La Storia è un po’ più complessa di come ce l’hanno raccontata.

La Guerra del Vietnam è una guerra che è stata iper-rappresentata sullo schermo, ma l’analisi raffinata e corrosiva di veri e propri capolavori cinematografici come Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola da parte di Nguyen mostra come, al di là del messaggio contro la guerra e contro tutte le guerre, al di là degli orrori del colonialismo che si perpetuano dal Congo conradiano di Heart of Darkness fino al monologo del Colonnello Kurtz, anche il film di Coppola relega i vietnamiti al ruolo di comparse, mentre i Viet Cong sono delle presenze invisibili, guerriglieri in pigiama nero sempre in agguato nella giungla, pronti a far emergere – o riemergere – i sensi di colpa dell’ Occidente. Dov’era l’Es ci sarà il Vietnam.
Non è facile fare l’Infiltrato, soprattutto l’infiltrato comunista, ci dice Nguyen tramite il suo personaggio principale, il Capitano. Devi abituarti a vivere in un mondo dominato dalla paranoia e dalla schizofrenia, devi imparare a essere un vero e proprio dissociato mentale, con il cervello a compartimenti stagni, devi imparare a pensare una cosa e il suo opposto contemporaneamente, devi calarti completamente nel tuo personaggio. Il Capitano è una spia comunista, una quinta colonna tra gli espatriati sud-vietnamiti, un emissario del regime di Hanoi che è stato costretto per anni a vivere come un individuo completamente scisso, le cui due personalità divergenti non comunicavano in alcun modo, in cui nessuna delle due personalità poteva sovrapporsi all’altra. Il Libro di Nguyen si presenta come il suo kiem diem, il suo autoesame dottrinario, la sua confessione, la sua autocritica di fronte ai Commissari dell’Ufficio Politico del Partito, un testo che viene sottoposto a continue revisioni, scritto e riscritto decine di volte, fino a quando gli spietati editor del Partito Comunista Vietnamita non decidono che è perfetto. È un testo volto alla rieducazione dottrinaria e riabilitazione della reputazione politica del Capitano, un testo che qualcuno ha già riletto attentamente ed emendato prima che giungesse a noi, testimonianza che il soggetto scrivente ha recuperato la purezza ideologica originaria dopo essere stato per anni e anni negli Stati Uniti, a contatto con la corruttrice Cultura Occidentale. Quindi il testo di Nguyen è un testo che qualcuno ha già letto e censurato prima di noi, un testo in cui la verità si fa strada a fatica, soltanto grazie ad una lettura estremamente attenta da parte nostra. È una (ri)lettura che produce una nuova scrittura, che migliora la versione precedente. E ogni volta c’è qualcosa che sfugge ai censori, un surplus di significato che non si riesce a cancellare. Quindi non dobbiamo mai lamentarci se siamo costretti a riscrivere decine di volte i nostri testi, perché la nostra verità troverà sempre il modo di venir fuori. Dobbiamo sempre seguire le indicazioni dell’editor, anche dell’editor più spietato. È un duro apprendistato, ma è così che si impara a scrivere.