Gheorge Săsărman / Città visibili e invisibili

Georghe Sasarman, Cuadratura cerculei. La quadratura del cerchio, edizione bilingue, tr. Barbara Pavetto, Future Fiction, pp. 312, euro 16,00 stampa

È finalmente disponibile anche in italiano questa sorprendente opera dello scrittore romeno Gheorghe Săsărman. Pur essendo stato scritto nel 1975, La quadratura del cerchio affronta temi quanto mai attuali, come il cambiamento climatico e il rapporto tra uomo e natura, in contrapposizione con l’inarrestabile progresso tecnologico. Sasarman ci guida in un viaggio avventuroso alla scoperta delle città più diverse e incredibili, una per capitolo. A ognuna viene abbinata una grafica che ne rappresenta la struttura attraverso forme geometriche. Queste si intersecano fino a formare un quadrato e, disposte insieme in maniera ordinata, ne costituiranno un unico più grande. Ma l’apparenza funzionale e razionale delle città nasconde una realtà tormentata e complessa, così come è l’uomo.

Ogni città in cui ci guida Săsărman ci presenta un modello di società diverso. Vavilonia, per esempio, si sviluppa in senso verticale, secondo una struttura piramidale che divide i suoi abitanti in rigide classi sociali. È facile scendere di livello, anche perché le scale sono spesso cosparse di scivolosissimo olio, ma è difficile salirle. La divisione in classi è un tema ricorrente, come vedremo a Senezia, dove tutti gli abitanti vogliono essere artisti e intellettuali. Nessuno vuole più fare lavori umili e così la città andrà in rovina, devastata dall’incuria.

In questa intessitura di racconti Sasarman ci mostra come l’industrializzazione e la meccanizzazione di ogni cosa finiscano sempre per alienare completamente l’uomo. Questo lo vediamo a Verticity, dove entità digitali intrattengono gli abitanti rendendoli assuefatti a un ideale estetico innaturale e irreale. In questo racconto la bellissima annunciatrice televisiva di cui si innamora il protagonista si rivela essere nient’altro che la creazione di un programma: le sue fattezze così perfette non sono nient’altro che un assemblaggio di tutte quelle caratteristiche estetiche che gli utenti considerano tipiche nella donna ideale. La perdita di contatto con la realtà dovuta a un eccessivo attaccamento al mondo virtuale è un tema ricorrente nella fantascienza contemporanea e Sasarman lo tratta già negli anni Settanta, anticipando addirittura il fenomeno delle star virtuali, tanto amate in Giappone, e molte tematiche tipice del cyberpunk.

A Motopia l’industrializzazione viene portata all’eccesso e gli “omomobili”, creature ormai più simili a robot che a esseri umani, arrivano a sostituire completamente il genere umano, cibandosene per sopravvivere. Il progresso tecnologico e la meccanizzazione finiscono per fagocitare l’uomo privandolo prima della libertà, poi della vita. Così Săsărman mette in evidenza la duplicità umana in rapporto allo sviluppo della tecnologia e alla modifica dell’ambiente circostante. Nel racconto “Tropaeum”, l’ostinazione a costruire ed edificare anche dove la natura non lo permetterebbe, porterà la città alla distruzione.

Nel racconto dedicato a Geopolis viene affrontato il tema della sovrappopolazione: il pianeta in questione è occupato da un’unica grande città che si estende sia in altezza che sull’intera superficie, ma si sviluppa anche in ogni recondito spazio del sottosuolo. Qui la stratificazione urbana viene paragonata a quella sociale, divisa in classi: le etnie storiche vengono soppiantate da quelle nuove, che, alle differenziazioni basate su caratteristiche fisiche, aggiungono quelle funzionali degli abitanti. A Geopolis troveremo infatti gli uomini talpa, gli uomini delfino, gli uomini anfibio e quelli uccello in un contesto dove troviamo però anche una vena di ottimismo e desiderio di riscatto. “In quell’ epoca cominciarono a proliferare le cosiddette scuole o sette della sopravvivenza. I partigiani più numerosi – di tutte le razze – facevano parte della scuola degli ottimisti; credevano che i limiti all’ espansione cosmica fossero temporanei che, presto o tardi, l’esodo spaziale sarebbe stato realizzabile, permettendo il popolamento di nuovi corpi celesti e la colonizzazione (equa per tutti gli abitanti) dei pianeti più vicini dotati di un ‘ atmosfera adeguata”.

Spesso Săsărman fa riferimento alla migrazione delle popolazioni dalle aree rurali a quelle urbane, una scelta che finisce per imprigionare l’uomo alla ricerca costante del progresso, facendogli dimenticare le proprie radici. Questo è quello che accade nel racconto dedicato a Old Town. Qui gli abitanti di un misterioso e imponente castello non si ricordano come sono entrati e, soprattutto, non non sono in grado di uscire. Se da una parte si cerca di domare la natura, assoggettandola alle proprie necessità e costringendola in zone sempre più limitate, dall’altra domina il rimpianto e la ricerca della salvaguardarla, sperando che non sia troppo tardi. Ogni storia è una metafora della città moderna, che sembra voler accogliere l’uomo ed essere funzionale alle sue necessità, ma in realtà lo costringe e lo limita, come dentro a un quadrato.

Mariano Martin Rodriguez, nella sua introduzione, restituisce a quest’opera di quasi cinquant’anni fa il valore sperimentale e il complesso rapporto di un intellettuale con una realtà di censura capace di colpire non tanto la contestazione politica ma il concetto stesso di arte come innovazione linguistica. Săsărman risponde a una domanda quasi inevitabile da parte dei lettori del suo romanzo, ovvero quale sia il rapporto con Le città invisibili, celeberrima opera di Italo Calvino pubblicata da Einaudi nel 1972. Molti sono gli aspetti condivisi da queste due opere dedicate alle città, o meglio che sfruttano il rapporto tra città e abitanti, quella reciproca modificazione che viene scritta dal tracciato urbanistico e dalle variabili sociali e antropologiche che caratterizzano gli abitanti. L’autore racconta di una straordinaria risonanza con Calvino, e ci assicura che la sua opera è stata sviluppata ignorando l’opera italiana quasi contemporanea, ma certo influenzata da una ricca sperimentazione che comprende Jorge Luis Borges, Julio Cortázar, Raymond Queneau, Georges Perec e molti altri che hanno percorso con curiosità le vie, gli ampi viali, le piazze e i vicoli malfamati del linguaggio.