“Fuggivo dal continente del passato verso un posto dove si sosteneva che il passato non esistesse, anche se nel frattempo ne aveva accumulato uno. Portavo un taccuino giallo, cercavo un uomo, volevo raccontare prima che la memoria mi abbandonasse”. Nel suo ultimo romanzo, vincitore del premio Strega europeo 2021, Georgi Gospodinov si avventura sui terreni incerti della temporalità, e lo fa confrontandosi con i grandi modelli del passato, primo fra tutti Thomas Mann. Se nel Zauberberg lo scrittore tedesco raffigurava l’Europa morente nel microcosmo del sanatorio, nella clinica del passato Gospodinov simboleggia il caos del nostro recente passato. Gli ospiti del sanatorio vivono un’esistenza oscura e sepolcrale, quasi fossero già avvolti nel loro sudario. “Il tempo non è mai reale. Se ti sembra lungo, vuol dire che è lungo, se ti sembra breve, è breve, ma quanto sia lungo o breve in realtà non lo sa nessuno”, afferma Castorp nel suo desiderio di definire l’indefinibile. Tutto si confonde sulle vette della montagna incantata. Lo scrittore, con infinita maestria, riesce a narrare il tempo, rendendolo protagonista principale del racconto. In entrambi i libri la malattia simboleggia una crisi morale.
La generazione di Mann è affetta dalla tubercolosi, mentre quella di Gospodinov dall’Alzheimer. La perdita della memoria è l’afflizione del tempo moderno, ineluttabile conseguenza dell’aumentata aspettativa vitale. Tocca al fantomatico Gaustìn, viaggiatore incantato ossessionato dagli eventi trascorsi, progettare cliniche del passato all’interno delle quali trovare una utopica protezione dall’oblio. Come in Mann, il passato si trasforma in presente e viceversa, manifestando il costante collegamento fra le cose. Stanze di una quotidianità estinta, arredate con il gusto di altre epoche, aiutano a ritrovare ricordi perduti o mai esistiti. L’ossessione del passato, il desiderio di essere un altro, di appartenere a un altro tempo, sentimento con il quale tutti, prima o poi, ci confrontiamo, trova nelle pagine di Gospodinov magnifica incarnazione. “Ho più ricordi io da solo, di quanti non ne avranno avuti tutti gli uomini insieme”, scrive Borges nel racconto Funes, o della memoria. È lo stesso autore a chiamare in causa il genio argentino. Lucido spettatore dell’implacabile processo di corruzione, Funes non riesce a dormire perché farlo significherebbe distrarsi dal mondo.
Nella medesima maniera Gospodinov vorrebbe recuperare quanto è inevitabilmente trascorso. La sensazione dei giorni che ci abbandonano, la paura di perdere i propri ricordi e le storie che costituiscono il bagaglio di ogni scrittore mina la stabilità romanzesca. Anche dal punto di vista grafico, disegni e stralci di appunti perturbano il procedere della narrazione. Precarie fughe del tempo, sconfinati territori interiori che Gospodinov esplora con originale pregnanza. La perdita globale della memoria si diffonde come un virus, infettando l’intera umanità. Il cronorifugio del titolo è la costruzione di un tempo protetto, illusoriamente immune dalla rovina. Come in Proust il gusto della madeleine riesce a infrangere la dicotomia fra il presente e quanto è trascorso, in Gospodinov negli odori si cristallizza il passato. Una amara ironia percorre le pagine nelle quali l’Europa, incapace a fronteggiare il presente e a costruire il futuro, indice un referendum per il passato, un appello a tornare indietro in un luogo nel quale ancora aleggi l’utopia della felicità.
Oscuri presagi, tanto più inquietanti in questo particolare momento storico, concludono il libro. Il caos nel quale precipita il mondo non è quello della creazione, ma addita una fine imminente. Il boato dei cingolati, il rumore degli stivali che percuotono il suolo, l’ammassarsi delle truppe ai confini nel 1939 richiamano trascorse tragedie, purtroppo pronte a ripetersi con inaudita violenza nel tempo presente.