Una Francia sconosciuta o L’avventura tra due sponde è il sesto volume dei reportage di Georges Simenon pubblicati da Adelphi dal 2019 a oggi. I cinque articoli qui raccolti uscirono per la prima volta, dal 1931 al 1977, su giornali e riviste come “Vu”, “Figaro illustré”, “Marianne” e “Humanité”. Nella nota che accompagna il volume Ena Marchi ci racconta come il giovane Simenon, venticinquenne, desideri andarsene dalla vita mondana parigina, e che per questo acquisti una piccola barca con cui avventurarsi – in sei mesi, non certo una gita domenicale – per i fiumi e i canali di Francia. La Ginette è lunga appena sei metri, lui e la moglie Tigy, la domestica e amante (ça va sans dire) Boule e il cane Olaf (maestoso quadrupede di 60 chili) sperimentano in quell’anno (è il 1928) le traversie occorrenti per oltrepassare chiuse e dislivelli in territorio dove comandano piloti di chiatte e rimorchiatori, e – soprattutto – i diffidenti guardiani e manovratori delle paratie. Sulla Marna, per esempio, c’è una chiusa ogni dodici chilometri, e a Simenon non possono sfuggire quei personaggi che prima di azionare le manovelle si riempiono ben bene la pipa – bravissime persone, annota, ma che non disdegnano due franchi di mancia. Un mondo di chiatte, a motore e “a cavalli”, che risalgono o che, invece scendono. La Ginette, soprattutto durante i giorni di maltempo, tra pioggia sferzante e fango, sparisce fra i mastodonti che spostano a due chilometri l’ora le loro pance piene di ferro, piombo e carbone.
Andare per mare e per canali non è propriamente la stessa cosa, i pescatori non sanno a cosa servono le chiuse, c’è una Francia che non sa cosa significhi veder fuoriuscire dalle paratie «centinaia di tonnellate di acqua gorgogliante», però l’atmosfera di quei viaggi rende orgoglioso Simenon almeno quanto veder funzionare un motore Johnson da tre cavalli e cavarsela a scrivere a macchina sotto un buon tendalino. E affascina, noi lettori di quasi un secolo dopo, leggere spiegazioni particolareggiate di come ottenere permessi di viaggio, e documenti misteriosi dove addirittura il presidente della Repubblica francese ordina, nero su bianco, «… di lasciar passare, di aiutare, ecc. l’imbarcazione Ginette». Per canali si va lenti, si sta attenti a non lasciarci la pelle, letteralmente, capita di dover attraversare un tunnel, una galleria sotterranea lunga circa nove chilometri nell’altopiano di Langres. Nessuna luce che aiuti, solo un’unica alzaia larga sessanta centimetri, e c’è da sperare che nessuno arrivi (infatti è proibito) dalla direzione opposta: «La mattina è il turno di chi sale. Il pomeriggio di chi scende».
Nel 1931 il settimanale “Vu” commissiona a Simenon un reportage, insieme al fotografo Hans Oplatka, dove racconto e immagini sono destinati a ripercorrere il primo viaggio “tra due sponde” sulla Ginette. Possiamo figurarci quel nuovo Tour de France, stavolta compiuto probabilmente sulla famosa Chrysler dello scrittore, attraverso le duecento foto scattate da Hans. Affezione per i luoghi, per i caratteri, per le tecniche a cui Simenon si affiderà nei numerosi viaggi che farà in seguito – e relativi reportage. Quasi una leggenda: allo scrittore “viaggiante” si rivelò nei pensieri un commissario “accettabile” con pipa e bombetta? Potrebbe esser verosimile, ma intanto il lettore qui accetti la visione che scrittore e fotografo riportano affinché sia spiegabile lo sforzo occorrente per capire l’acqua di fiumi e canali (ma anche di mare) «per dominarla senza irritarla».