Terzo volume di reportage, dopo Il Mediterraneo in barca e Europa 33, da parte di un viaggiatore d’eccezione, nella bellissima traduzione di Girimonti Greco (di certo non nuovo a queste imprese) e Scala, e con la consueta nota di Matteo Codignola che mette a nudo le ossessioni, gli sguardi attraenti e il mestiere dell’impagabile scrittore di Liegi. Non bastano i 75 romanzi (ma la cifra sarà vera?) in cui il commissario Maigret s’aggira tra furfanti e assassini, né le centinaia di romanzi che Adelphi inserisce nel proprio catalogo da alcuni fortunati anni. Simenon viaggia in diverse zone del mondo, da inviato speciale per diverse testate, scatta foto con la fedele macchina sempre con sé assecondando curiosità e passione per la fotografia.
In questo volume sono raccolti articoli scritti fra il 1933 e il 1939: fra Galapagos, Nuova Guinea e Tahiti, ben distante quindi dal Mediterraneo in cui veleggiò nell’estate del 1934. Partire dall’Africa e desiderare il Nilo (secche stagionali o meno presenti), sembra per lui una priorità anche se subito dopo prende a parlare di Lapponia e Mar Glaciale Artico: le spiegazioni si succedono, Simenon si diverte abbondantemente con la fantasia del lettore, spiazzandolo e gettandolo di peso nel senso del mondo, quello che lui vede con acutezza nel paesaggio e nelle genti incontrate. È qualcosa di sessuale, pressante almeno quanto il desiderio per fanciulle di carne morbida e grata all’attenzione maschile. Simenon non si accontenta di racconti indigeni, e di compagnie malfidate giunte da tutto il mondo nelle atmosfere ora limpide ora sordide dei Mari del Sud. Tra bevute e sabotaggi organizzati da frotte di spie in onore di Panama, lui si trova sempre nei crocevia che importano non alle masse ma ai politici e ai borghesi in attesa che esploda il grande conflitto. Intanto molti rabbrividiscono al di qua e al di là del Canale, mentre paccottiglie varie, oppio, e vite al limite sono pronte a venir raccontate perché ne godano i lettori stesi su poltrone e divani d’Europa.
Ma a Tahiti, dopo avere incontrato centinaia di cinesi, Simenon si chiede dove siano le sognate e celebrate tahitiane. La pioggia battente, che sembra non finire mai, nasconde tutto: Simenon in costume da bagno sotto l’impermeabile va a spasso maledicendo la mancanza di navi in partenza. Capirà alcuni giorni dopo che il lustro dato da Gauguin e Loti a Tahiti è meritato e sfavillerà soltanto dopo, a fine pioggia, quando le pozzanghere scompaiono come per incanto in un batter d’occhio. Certo, ci sono i fantasmi di cui tanto si parla, che mettono in fuga chiunque, ma basta l’incontro con una ragazza dal bel seno e l’utilizzo libero di automobili lasciate per strada apparentemente senza padrone, per innamorarsi di case senza pareti e indigeni dolci e socievoli. Gli stranieri fanno politica e nudismo, gli indigeni non fanno niente, scrive Simenon, gli basta quel che hanno e nessun cinema occidentale potrà mai capirli o – peggio – influenzarli. Lui sa che nessuna poesia forzata potrà raccontare, in poche pagine di giornale, la pesca e gli squali, i seni nudi e lo splendore dei loro tramonti.
Codignola comprende e spiega quanto Simenon abbia potuto spogliarsi di sé stesso in queste scorribande oceaniche, e come l’apprendistato abbia concluso il suo compito. L’apprendistato che lo scrittore considerava e pretendeva fosse lo scopo finale dei suoi viaggi. Segno ne sono, in ultimo, i grandi libri che scrisse al suo ritorno in Francia. Dal “margine” dei meridiani, dove qualcosa è sicuramente successo, alla pienezza distesa e concreta della sua scrittura.