Quinto volume di reportage di Georges Simenon pubblicato da Adelphi, con articoli scritti fra il 1946 e il 1958. “America amore” per lo scrittore belga, potremmo suggerire, seguendo il campionario riunito dall’europeo Arbasino nell’arcinota sua raccolta dedicata agli Stati Uniti. Dopo lo sbarco a New York, ottobre 1945, lo scrittore belga desidera fortemente lasciarsi alle spalle le minacce belliche e personali, seccature famigliari comprese (ne dà notizia Ena Marchi nella breve ma preziosa nota finale). Per dieci anni Simenon rimarrà in quel mondo che non manca di affascinarlo, i cui dettagli, immagini e atmosfere si riversano nei romanzi di ambientazione americana, per altro fra i più belli da lui scritti. Mancò per poco la cittadinanza statunitense, ma a un certo punto, dopo aver girovagato per i diversi Stati, tornò nel vecchio continente senza dare alcuna spiegazione. Nostalgia o meno, in poche settimane varca l’Oceano “senza voltarsi indietro”. Ci restano questi scritti, che portano ai lettori il perfetto odore dell’America di quegli anni post-bellici, così come giungeva al naso sensibile di Georges mentre, tanto per iniziare alla grande (con perfetto spirito yankee), parte dal Maine in Chevrolet per giungere dopo cinquemila chilometri nel Golfo del Messico.
L’incantamento che trapassa lo sguardo di Simenon fa capire la profonda differenza fra le civiltà del Vecchio Continente e del Nuovo Continente, quest’ultimo in preda alla frenesia di una tradizione creata lì per lì sulla base di “priorità” che comprendono automobili (buone macchine usate, vendute spesso sottobanco, o nuove Ford popolari) dove ciò che più colpisce è la presenza di autoradio e condizionatore. In un enorme Paese dove si possono incontrare, grazie all’espansione delle latitudini, foche, palme da cocco e serpenti a sonagli, Simenon attraversa paesaggi dove le strade sono quasi prive di segnaletica, ma questa è l’impressione che gli dà l’antica Route 1 dove circolano vetture che viaggiano a velocità ridotta: macchine potenti portate non oltre le quaranta miglia consentite. Le case, quasi tutte in legno, a Simenon sembrano giocattoli, circondate da prati e nient’altro, i negozi sono tutti uguali perché appartenenti a “catene”, le stazioni di servizio ricolme di Coca Cola, ice-creams e caramelle multicolori, ristoranti zero ma chioschetti dove si viene serviti senza bisogno di scendere dalla macchina.
Certo fa sorridere (e questo è il fascino trasmesso dalle pagine che leggiamo) lo stupore misto a sconcerto dello scrittore di fronte a stili di vita lontani ancora anni-luce dalla vecchia Europa. Proseguendo da nord a sud, il paesaggio muta profondamente, le strade si allargano in multi-corsia dove la Chevrolet si trova incastrata fra migliaia di auto che si muovono all’unisono ed è quasi impossibile svoltare per tempo verso l’uscita prevista. Le grandi città sono in minoranza rispetto ai piccoli centri e alle fattorie disperse nelle grandi pianure. Ma Simenon si scopre ad adorare le cosiddette cabins, soluzioni abitative temporanee linde ed efficienti (“colori chiari e quasi sempre graziose”): a Cape Cod e lungo la costa sono numerose, riunite in agglomerati di una ventina dove c’è tutto il necessario per una decina di dollari al giorno. A New York Simenon prova ammirazione per la regolarità delle strade a scacchiera dove ritiene impossibile perdersi: “i grattacieli sono proprio come li avete visti al cinema”. Sentirsi a proprio agio è semplice, ci sono quartieri per ogni “razza”. Non bisogna stupirsi per vocaboli del genere, così come quello di “negro” una volta raggiunti gli Stati del Sud. Siamo nel 1946, ricordiamolo. Simenon stesso descrive, con una minima dose di perplessità, le grosse differenze di status fra bianchi e neri. E sa benissimo quanto sia già insultante il termine “negro”. Ai lati del suo passaggio, come minacciosi, sono sempre lì i famigerati campi di cotone. È il paese di “Via col vento”. Dove è cominciato il Sud Simenon si accorge che alle pompe di benzina l’addetto non è un bianco ma un nero. E poi, grande delusione per la mancanza del vero tabacco del Virginia, interamente comprato dalle multinazionali concorrenti.
Dagli orsi del Nord al “tropico” di Miami, la “Costa Azzurra americana”, il salto è notevole, i cartelloni turistici sono immensi e pittoreschi, coccodrilli e acquari sono ovunque, così come miliardari annoiati dispersi tra palme e noci di cocco nei viali larghi e lunghi come gli Champs-Élisées. Simenon riempie i cinquemila chilometri attraversati di uno stato d’ammirazione continuo, ancora non mediato dalle cautele e perplessità che sarebbero cresciute in epoche posteriori: a lui sicuramente piacciono le comodità offerte, pur con differenze, in ogni Stato degli USA, una sorta di voluttà perenne della vita americana che lo porta a radicarsi per molti anni in una terra dove si può ricominciare da zero a ogni trasloco, senza preoccuparsi di granché, tanto meno di Henriette che detestava la vita “dissoluta” del figlio Georges.
I reportage di Simenon su Pulp Magazine
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Europa 33
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