Quarto volume dei reportage di Georges Simenon (Liegi 1903, Losanna 1989) con articoli apparsi su diverse testate fra il 1933 e il 1937. Questa volta l’autore di Maigret (di cui all’epoca aveva già scritto le prime avventure, ottenendo clamoroso successo) accetta l’invito da parte di Xavier Guichard, direttore della Polizia giudiziaria, di recarsi in visita ai locali situati al Quai des Orfèvres, sede della Questura parigina. Per la verità a quel tempo Simenon non aveva la minima idea di come si svolgessero davvero le indagini, e molti dei lettori “informati sui fatti” (alcuni certamente poliziotti di mestiere) avevano non poche perplessità sull’abituale comportamento di Maigret, ritenendolo poco verosimile in un ambiente “maledetto” com’erano le strade di Parigi in quegli anni.
Simenon si trova così immerso nei corridoi e nelle stanze dove la realtà mostra le proprie ruggini e polveri, via da quella polizia immaginaria di cui fin lì aveva descritto azioni e ossessioni. Egli viene iniziato ai segreti del Palazzo di Giustizia, e con non poca passione attinge al rimescolio inquietante di anime che popolano la grande protagonista che è – e sarà sempre di più – Parigi con tutti i suoi Arrondissement e i cambiamenti che già si prospettano profondi. Parigi dell’epoca vuol dire l’affaire Stavisky, e carovane di inviati e fotografi che inseguono i cellulari della polizia in vista di sconcertanti evasioni e affollamenti fantomatici. Vuol dire reati fra il crudele e il comico, mentre le vere vittime dei quartieri più poveri sono i vecchi che non sanno più come sopravvivere (e molti si suicidano) mentre fanciulle di vita e protettori danno occhiate al bilancio quotidiano e alla quantità di Pastis da offrire a habitué di alcol e carni discinte. Parigi vuol dire foto in bianco e nero di amanti famosi seduti sulle panche in attesa dell’interrogatorio, pelliccia e borsalino compresi.
Simenon firma una serie di articoli dove la fauna e le ombre faranno la loro comparsa successivamente, nelle pagine di romanzi dove Maigret finalmente la smetterà di vergognarsi di quello “scrittorello” sfrontato che osava raccontare le sue imprese: così infatti lo appella il commissario nelle esilaranti Memorie, secondo la memorabile mise en abyme congegnata dallo scrittore belga. Che si diverte, in Dietro le quinte della polizia, a descrivere giganti del crimine e poveracci sporchi e stupidi (spesso non nello stesso ordine e mescolando le carte), mentre ladri e truffatori viaggiano dentro quanto rimane di una Parigi che non ama i propri abitanti ma che offre occasioni ai clienti della Buoncostume. Questioni di benevolenza, e di occhio per tentare l’identificazione di un proiettile. Ma ci sono posticini tranquilli, come si è detto, dove la verità si affronta subito dopo aver varcato un balcone fatale.
Certe rue sono pazze, si sa, la polizia sta all’erta, e sembra conveniente convincersi – al seguito degli articoli via via pubblicati – che i meriti della Cité a riguardo dell’inventiva sorpassano il fattore umano compreso nelle prime indagini di Maigret, così come se l’era inventate in origine l’autore. Simenon era già a conoscenza di accadimenti neri in giro per il mondo, anche più infausti di quelli parigini, ma non gli occorre essere specialista per capire quanto l’imborghesimento farà accadere qualcos’altro nell’ambiente del crimine, nelle mode dei quartieri sia ricchi che poveri. Simenon si addentra dietro le quinte, è vero, ma presto le spalanca perché l’unico vero riferimento alla fine sono le vie di Parigi dove tutti gli uomini sono nudi, ed è lì che i suoi passi si dirigono, dove il banale e il tragico s’incrociano fino a trasformarsi in romanzo: da giornalista a romanziere, Simenon clamorosamente s’ibrida in quel modo che ogni suo indomito lettore ben conosce.
Recensioni ai precedenti volumi di reportage: