Un io narrante si accinge a indagare sul misterioso omicidio di un giovane giornalista avvenuto in un hotel di Barcellona nel corso di un’intervista con lo scrittore Enrique Vila-Matas, che si è reso irreperibile e diventa per questo il principale indiziato. Alla voce del protagonista si affianca presto quella di sua sorella Soledad, medico legale e, al contrario del fratello, grande appassionata di letteratura. Ma l’indagine, che presto si trasforma nella caccia a un fantasma attraverso mezza Europa, non è forse che un pretesto: dopo poche pagine Notturno di Gibilterra (L’Orma Editore, 2020), esordio nel romanzo di Gennaro Serio, classe 1989, collaboratore del Il Manifesto e di altre testate, si rivela al lettore come qualcosa di meno e qualcosa di più di un giallo. Un labirinto disseminato di aringhe rosse, vicoli ciechi, detour e détournement, avventure esistenziali, false identità, travestimenti, twist e quanto altro può offrire una letteratura che rifugge le ricette editoriali. In fondo a tutto sembra dominare un sentimento della realtà come enigma irriducibile a una narrazione mimetica, nell’accezione dei grandi autori latino-americani di cui il lettore Serio ha evidentemente subito il fascino.
I numi tutelari dell’impresa, del resto, sono convocati tutti, a volte in prima persona, a partire dal grande spagnolo Vila-Matas, qui anche personaggio, ombra sfuggente eppur ineludibile come una sorta di Harry Lime delle lettere, a volte appena defilati ma perfettamente riconoscibili come Don Jorge Francisco Isidoro Luis Borges, guida spirituale di tutti i bibliofili dell’universo, o l’immaginifico outsider del paradosso J. Rodolfo Wilcock; alle loro spalle un’eterogenea e nutrita folla di iconoclasti che vanno da James Joyce a Roberto Bolaño. Quanto basta a tracciare le coordinate di un libro imprevedibile e sofisticato, divertente e a tratti esuberante, forte di un certo “piacere aristocratico di dispiacere” o quantomeno di spiazzare il lettore occasionale. Di fatto è anche un giallo, certo, ma contemporaneamente è un saggio metaletterario, il diario di viaggio di un detective alla deriva, un’operazione sperimentale, una storia d’amore, una raccolta di racconti, un romanzo epistolare. Insomma “una macchina per moltiplicare narrazioni”, per evocare Italo Calvino, e infatti non è difficile comprendere perché la giuria del Premio intitolato allo scrittore abbia voluto incoronare Notturno di Gibilterra quale miglior esordio del 2019. Scelga ogni lettore, in questa offerta letteraria così generosa, i suoi passaggi preferiti, se l’esegesi della barzelletta sul ricco e sinistro industriale Vallverdù oppure le pagine sul lento inseguimento in barca attraverso il dedalo di canali del Nord. Gli appassionati di giochi enigmistici letterari si appassioneranno probabilmente ad affrontare piccole sciarade nascoste nel testo chiedendosi per esempio, se il titolo della mostra fotografica di Besançon Time out of joint, sia un omaggio a Shakespeare o a Philip K, Dick, o se l’onnipresente, famoso impermeabile blu che appare e scompare lungo tutto il romanzo provenga o no dal guardaroba di Leonard Cohen.
Se dovessi pescare dalla fitta trama per rischiarare queste giornate uggiose di reclusione, lo scettro andrebbe senza esitazioni al capitolo Conversacion entre un querubìn y el espirìtu de Borges arbitro o El mundial de los detectives literarios in cui l’autore riporta la puntuale cronaca di un evento agonistico che coinvolge tutti i più grandi investigatori della letteratura, da Poirot a Ingravallo, da Carvalho a padre Brown, da Maigret a Guglielmo da Baskerville, tutti riuniti nello stadio Monumental, con tanto di gironi a eliminazione, pubblico e arbitri, per una tenzone investigativa – e dunque filosofica – a colpi di ingegnosi ed elegantissimi paradossi criminali da sciogliere, presumibilmente architettati da un ineffabile comitato scientifico dei cui membri tutti sarebbe stato intrigante fare la conoscenza. Sarà per un’altra volta.
Accontentiamoci, per ora, di conoscerne uno.
Da Jorge Luis Borges a Leonardo Sciascia, negli anni la struttura del romanzo giallo è stata spesso adottata da autori che si muovevano fuori dalle logiche di genere. Per Notturno di Gibilterra cosa hai attinto dalla tradizione del giallo e cosa hai lasciato in dono?
Della tradizione ho preso l’etimologia latina in comune con il verbo tradire (almeno, lo spero). E forse è questa la traccia che si può seguire a ritroso nella storia del giallo così come l’hanno segnata alcuni incursori illustri e chiassosi nel genere: aggredire gli elementi di fissità che quell’habitat romanzesco esige per sperimentarne gli effetti. Non ho lasciato doni: il giallo è una baracca già stipata di carabattole, cosa potrei mai aggiungervi io di prezioso?
Come e quando Enrique Vila-Matas ha appreso di essere diventato un assassino?
Mettiamo sin da ora il lettore sulle piste del Maestro? E se poi salta fuori che non aveva fatto niente di male?…
Al Salone del Libro di Torino, dove Vila-Matas era invitato per presentare il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia, portai il mio romanzo rilegato alla buona con l’idea di darglielo: il classico gesto insensato del giovane terrorista delle belle lettere, che ritiene di dover ammorbare chiunque con il proprio profumatissimo manoscritto. Lo prese con gentilezza e lo affidò alla sua assistente. Quando pochi giorni dopo scoprii di aver vinto il premio Calvino, il primo a scrivermi fu lui. Alla letterina elettronica con la quale si rallegrava della bella notizia, allegò una foto di Cary Grant in Intrigo internazionale. Tipica corrispondenza à la Vila-Matas, mi pare.
Negli scaffali della tua biblioteca Vila-Matas dov’è collocato? Chi c’è, per esempio, alla sua destra e chi alla sua sinistra e, più in genere, quale visione presiede all’organizzazione delle tue librerie?
Negli ultimi anni ho cambiato casa diverse volte, ragione per la quale l’ordine della biblioteca è sempre più mentale che effettivo: comunque, teoricamente, Vila-Matas sarebbe nella letteratura ispanofona, tra Villoro e qualcun altro che adesso non ricordo (in regime di restrizioni sono anche lontano da una parte consistente dei miei libri… Valle-Inclán?).
La mia idea è di tenere separata la saggistica dalla letteratura (scelta rischiosa), e di raggruppare i settori in ordine di lingua dell’autore (ma “americana” è separata da “inglese”, che come “ispanofona” e “lusofona” è un mondo più variegato). Per il problema Vladimir Nabokov o Samuel Beckett (che hanno scritto in diverse lingue) ho deciso di tenere i libri vicini, sacrificando la coerenza filologica: tutto Beckett è nella letteratura francese, anche Murphy.
L’ultimo criterio all’interno del settore linguistico è l’ordine alfabetico. Non rileva, all’interno di quest’ordine, la distinzione tra edizioni in italiano e edizioni in altre lingue, che risultano quindi mischiate (nel senso: i libri di Vila-Matas in spagnolo sono mischiati a quelli di Vila-Matas in italiano).
Un disastro, lo so, non mi dire niente. Quando potrò comprarmi il castello nella Loira come ha fatto Alberto Manguel, anch’io adibirò a biblioteca un’intera ala.
Il libro è evidentemente un corpo a corpo con i tuoi fantasmi di lettore, un po’ come quelli che incrociano la strada di Soledad. Quali altri fantasmi letterari si sono palesati durante la scrittura di Notturno di Gibilterra?
I primi sono stati quelli dei detective dei libri: sono i miei eroi dell’infanzia, Maigret, Poirot, Marple, Carvalho, Montale, Brown. Come lettore ho cominciato con loro, e mi sembrava ovvio cominciare da loro anche come scrittore. Poi il romanzo è stato trascinato via dagli altri, quelli meno rassicuranti dell’età adulta. Ma ho paura di nominarli, bramano vendetta (letteraria).
La trama ordita dal personaggio che si cela dietro il delitto sembra attingere a esiti imprevedibili. Se il movente era manipolare la realtà, controllarne e determinarne gli snodi, tramutarla in letteratura, quel che forse accade è che questa “realtà romanzesca”, se così possiamo definirla, si affranchi invece dai piani del suo autore e partorisca qualcosa di ancora diverso e di nuovo. Che potere ha lo scrittore sulla sua opera e più in generale la letteratura sulla realtà? lo scrittore è ancora onnisciente o ha perso per strada questo potere? che mansioni impartiamo, invece, al lettore di Nottuno di Gibilterra?
Realtà: letteratura sotto mentite spoglie.
Autore: demente – agìto dalla letteratura
Lettore: vedi alla voce “Autore”
(Scherzo, scherzo)
A quanto riferisce suo fratello nelle prime pagine, Soledad è risoluta a sparare al “prossimo imbecille” al quale sentirà dire “che Eco mischiava l’alto e il basso”. È un proposito condivisibile, c’è qualche altro luogo comune sulla letteratura, oggi, che ti farebbe soffrire?
Non è detto che tutte le opinioni dei personaggi siano condivise dall’autore (alcune magari sì, claro).
“Non-fiction”
“Leggerezza calviniana”
“Romanzo del nostro tempo”
“Aggettivo qualificativo” dopo “letteratura”
“Aggettivo qualificativo” dopo “scrittore”
(…) segue
“Il modo migliore che ha per rimanere nell’anonimato, signorina, è di cercarsi un impiego dignitoso presso gli uffici postali della nuovissima Spagna costituzionale…”. Ogni riferimento alla scena letteraria napoletana contemporanea è da considerarsi assolutamente casuale? [d’accordo, sei autorizzato a sorvolare su questa domanda …]
Vedi sopra alla voce “realtà”.
Nel libro c’è un articolato omaggio al film di Roy Andersson Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (2014). L’immaginario cinematografico ha molto segnato la produzione letteraria ascrivibile alla cosiddetta postmodernità, che spazio ha avuto nella tua formazione e quali sono gli autori e le opere che ti interessano di più?
Il cinema è stato – è ancora – una parte fondamentale della mia formazione.
Limitandosi al cinema europeo contemporaneo: Nuri Bilge Ceylan, Andrej Zvjagincev, Aleksandr Sokurov, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Ken Loach, Michael Haneke, Roy Andersson, Cristian Mungiu, László Nemes e compagnia.
C’è qualcosa, in Notturno di Gibilterra, che mi ha ricordato Una storia immortale (1968), il breve film di Orson Welles e, prima ancora, il racconto di Karen Blixen del 1953 a cui era ispirato (del resto, in un passaggio, Soledad incrocia la Blixen in compagnia di Ernest Hemingway a Temple Bar…). Ma c’è anche qualcosa, nel tuo libro, che evoca i trucchi wellesiani di F come falso (1973). Quanto menzogna e illusionismo sono consustanziali all’arte del racconto, che sia cinematografico o letterario, e in che misura un narratore ha liceità di barare con il lettore?
(Citazione molto suggestiva, quella da Blixen-Welles: la riciclerò in tua assenza).
Menzogna è letteratura, ragione per la quale l’illusione data dalla cosiddetta “letteratura realista” è un imbroglio bello e buono: il sedicente “realismo” è la finzione più asfittica e sfacciata che si possa fabbricare.
Il narratore bara, arrendiamoci (Agatha Christie insegna). Anche un narratore dickensiano, per quanto si sforzi, deve comunque scegliere un ordine con il quale raccontare e cosa includere nel racconto: è pur sempre un arbitrio.
In letteratura, stando almeno a quanto mi sembra di aver capito, quello che avvicina le parole alle cose non è la “verità”, né la “sincerità”: è lo stile.
Se fossi stato sugli spalti del Monumental per il Mundial dei detective letterari per quale scrittore avresti tifato e su quale, invece, avresti scommesso? e poi: quando hai cominciato a scrivere il capitolo sapevi già chi avrebbe conquistato il podio? insomma, sinceramente, hai truccato le partite?
Avrei fatto il tifo per quello su cui avrei scommesso!… Non avevo idea di chi avrebbe vinto, no. Ho seguito l’evoluzione del torneo come uno spettatore. Immaginavo che alcuni si sarebbero battuti con più possibilità di vincere, ovviamente. Come in tutti i tornei, non sempre vince il più forte. Ma spesso vince il più forte.
Gli arbitri sono Osvaldo Soriano e Flann O’Brien: come è caduta la scelta, per un ruolo di così grande responsabilità, su questi due nomi?
La risposta è nei libri scritti da questi signori, ma non posso darla perché anche loro sono in cerca di vendetta e mi tengono sotto tiro. Anche se… Soriano come scelta sembra abbastanza logica, no?
Non ti chiederò cosa incontreremo oltre le Colonne d’Ercole ma forse potrai almeno soddisfare una personale curiosità: i romanzeschi viaggi dei tuoi personaggi lambiranno prima o poi anche l’Italia, ostentatamente bandita dalla geografia del tuo esordio letterario?
Adesso che me lo chiedi: no, per dispetto.