Gaia Manzini / La conquista dell’amicizia femminile

Gaia Manzini, La via delle sorelle, Bompiani, pp. 152, euro 16,00 stampa, euro 10,99 epub

La letteratura tutta è un’autobiografia: può sembrare un’idea estrema, spesso contestata da molti scrittori che la ritengono superficiale e semplicistica, ma credo sia veritiera se considerata nella sua essenza. L’essere umano ha sempre scritto di sé stesso perché non conosce realmente altro, anche quando crea altri mondi e descrive creature che abitano universi paralleli sta raccontando la propria esperienza. E la sua esperienza è quella di un animale sociale, ci insegna Aristotele, un animale che si muove attorno ai suoi simili. L’essere umano racconta storie perché vuole tramandare sé stesso a chi verrà dopo di lui.

Raccontare e raccontarsi come necessità, come antidoto o semplicemente come passatempo rimane uno dei pochi modi, se non l’unico, di diventare immortale. Scrivere sempre di sé stessi dentro gli altri, “parlare di altre vite per ricavare parentesi nella propria, e di parentesi in parentesi inanellare un discorso nuovo” dice Gaia Manzini che in questo libro affronta il tema dell’amicizia, nello specifico quella femminile. Le relazioni sono tra le esperienze più rappresentative dell’umanità e la letteratura, quindi, è un esercizio di scrittura di relazioni anche quando non vuole esserlo: parliamo di come viviamo in un mondo che non è vuoto.

Nonostante il rapporto amoroso sia tra i topoi più inflazionati, altrettanto importanti sono i racconti che parlano di amicizie. Tanto importanti quanto l’amicizia, la vera protagonista de La via delle sorelle. L’amicizia femminile è un legame spesso indissolubile che si crea (cresce e muta capace di grandi imprese), che sana le ferite e apre strade inaspettate verso noi stesse. Il titolo è emblematico perché parla di sorelle e perché – nonostante piaccia ancora troppo parlare di donne stereotipate piene di invidia e in perpetua competizione – esse sono invece in grado di creare rapporti profondi fatti di condivisione e di vicinanza, un rapporto di sorellanza. Il racconto in questo caso è dichiaratamente autobiografico, con amicizie che cambiano ed evolvono a seconda dei momenti della vita accompagnando la crescita della protagonista.

C’è la vita di una donna, ma ci sono tante vite che si intrecciano e attraverso le loro esperienze e relazioni offrono scorci ampi su esistenze e universi emotivi, facendoci scoprire storie personali ma anche contesti storici, letterari e filosofici in cui si muovono i personaggi. Le donne che appaiono sono tante e sono figure importanti per l’autrice, contribuendo alla formazione della donna che è diventata, a farla crescere e fiorire.

Ma oltre alle amiche che le sono state vicine, ci sono donne importanti anche per tutti noi, che lei ha sentito vicine nei pensieri, nelle esperienze, con vite e personalità che l’hanno colpita lasciando una traccia indelebile. Sono intellettuali e artiste: Antonia Pozzi, Pippa Bacca, Natalia Ginzburg, Anne Sexton, Sylvia Plath e tante altre ancora, donne famose che vengono raccontate nel loro essere fragili e immense e che ad anni di distanza rimangono sempre in grado di parlarci di noi.

L’autrice parla in prima persona di sé e di donne senza un’intenzione di universalità, eppure riesce a raggiungerci, a far risuonare tante piccole e grandi emozioni che ci sono familiari: della vita, dell’amicizia, del dolore, del corpo, di tutto ciò che in un modo o nell’altro ci ha accomunato almeno per un momento, almeno una volta. Muoversi nel mondo in quanto donna, così come accade per gli uomini, è un percorso diverso per ognuna. Ma nonostante la nostra unicità ci renda diverse, sentire vicino il vissuto di un’altra ci conforta e ci fa sentire meno sole nel cammino, ci fa sentire parte di qualcosa.

Gaia Manzini, che ha esordito con una raccolta di racconti dal titolo Nudo di famiglia (2009), è giunta alla pubblicazione del suo quinto romanzo: una piacevole scoperta, una penna che non teme di affacciare lo sguardo negli abissi, di entrare nella vita degli altri con curiosità ma anche con estrema cura, in un vagabondare senza meta nell’alterità, prendendo un pezzo di ciascuno per poterlo custodire gelosamente per sé.