Gadda, Piccioni / La via ordinaria alla vita letteraria

Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni, «Col nuovo sole ti disturberò». Scritti, lettere, detti memorabili, cura Silvia Zoppi Garampi, Succedeoggi Libri, pp. 264, euro 22,00 stampa

“Gadda ha la mano pesande”, diceva Benedetto Croce parodiato dall’Ingegnere in persona. Se i suoi romanzi sono l’irresistibile trionfo della “baroccaggine” e dello “gnommero”, nella corrispondenza privata Carlo Emilio appare più parco di aggettivi ma sempre cortesissimo. «Col nuovo sole ti disturberò» raccoglie le missive del “Gran Lombardo” e di Leone Piccioni, oltre agli scritti gaddiani e ai “detti memorabili” annotati da quest’ultimo. Nelle complessive ventotto lettere, spalmate su un ventennio (1950-1971), i rapporti tra lo scrittore e il critico – Emanuele Trevi nella prefazione parla giustamente di “lunga fedeltà” – si assestano attorno a motivi di reciproca e affettuosa cooperazione: ad esempio, l’offerta da parte di Piccioni di collaborare ai quotidiani della Democrazia cristiana, Il Popolo e Il Mattino dell’Italia centrale. Gadda, vero e proprio flagello delle redazioni culturali a causa di un’attività pubblicistica troppo ingolfata, risponde positivamente senza nascondere una “signorile fierezza”, come osserva con acume Silvia Zoppi Garampi nell’introduzione al libro.

Ecco uno stralcio del biglietto datato 21 luglio 1950: “Caro Piccioni, […] non deve temere che io possa rappresentare la ‘pecora nera’ della Sua terza pagina. Conosco e apprezzo i limiti entro cui deve agire la collaborazione: e vivo è in me il senso di responsabilità, a sufficienza per non intralciare il lavoro degli ‘impaginatori’, cioè del Direttore e della Redazione. Un minimo di fisionomia personale, d’altronde, deve essere pur concesso all’articolista: senza di che non varrebbe la pena di avere degli articolisti”. Oltre ai ben noti problemi pecuniari, Gadda è afflitto in quegli anni da una serie di morbi psicofisici che puntualmente registra nelle epistole rivolte al “carissimo Leone” (si è ormai passati al tu), senza la minima traccia di understatement: “Verso sera mi ritrovo talmente stanco e ‘sfessato’ che non reggo più. Non sono presentabile. Porterei in un salotto l’immagine di una amenza senile” (31 dicembre 1955).

Nella seconda parte del volume compaiono i ventidue testi critici che Piccioni dedicò a Gadda tra il ’50 e il ’92, con un paio di preziose interviste. Emerge il metodo storico-ermeneutico dello studioso che, in saggi densi come Quando la violenza oscura la ragione dell’uomo, riesce a penetrare il cuore dell’opera dell’Ingegnere grazie a una particolare esegesi “empatica”. “Gadda parte dal centro di un nucleo reale – scrive in L’arte di Carlo Emilio Gadda (1953) – ed esattamente delimitato nei suoi contorni; inizia la sua avventura nel pieno possesso dei termini di verità e di verosimiglianza: poi di lì, tanto si muove e inventa, tanto propone e interpreta, tanto si insinua e scava ed amplia nelle direzioni più varie sino a modificare dall’interno la sostanza stessa e la forma della realtà che vedeva. La deforma, la gonfia oppure la svuota e la dissecca […], lasciando però a chi legge la traccia di quel suo manieristico procedimento di inversione. E ne risulta una dolente verità umana”.

Chiude «Col nuovo sole ti disturberò» una raccolta di episodi notabili, talora di sardonica ed esilarante amenità. Come accade in una lettera inviata a Contini: “Ora dovrò riprendere il ‘duro’ lavoro, che è per me duro in altro senso; cioè nel senso che mi scoccia maledettamente, isso. Vorrei ‘stare’ (latinamente) su un poltronone, vestito di uno zimarrone rosso, con pantofole ai piedi e questi, adagiati pian pianissimo su cuscini di damasco gonfio di mollicelle piumicine di cigno. Sorbendo squisiti aromi mokerecci e assaporando lontane musiche. Invece, inghiotti rospi!”. Negli aneddoti dalla vita di Carlo Emilio c’è posto anche per san Pio da Pietrelcina: “Mia sorella tutte le volte che io ho vinto un premio e anche quando sono entrato alla Rai, seguita a dirmi che è tutto merito di Padre Pio…”.

Celebre per la sua fame pantagruelica ma timidissimo e deferente invitato a cena, segnato dalla scomparsa del padre e dalla morte in guerra dall’adorato fratello Enrico, Gadda – probabilmente il più grande scrittore italiano del secolo scorso – aveva il suo idolo indiscusso in Manzoni, del quale si sentiva l’erede nell’indagine di quel “pasticciaccio” che è la vita ordinaria, di tanto in tanto illuminata da sprazzi di chiarità. “Talvolta la Provvidenza mi usa di questi riguardi”.