Gabriele Del Grande: L’ISIS, o del perturbante

Gabriele Del Grande, Dawla. La storia dello Stato islamico raccontata dai suoi disertori, Mondadori, pp. 605, euro 19,00 stampa, euro 9,99 ebook

Pochi libri sono riusciti a penetrare il fitto mistero dell’ISIS, l’organizzazione terroristica che ha saputo creare un vero e proprio network del terrore, diventando, dopo la nascita dello Stato Islamico in Iraq e in Siria, locale e globale allo stesso tempo. La prassi politica di questo anomalo Stato prevede tecniche di controllo del territorio, di propaganda e di arruolamento che sono ancestrali e modernissime allo stesso tempo. I vari agenti della polizia locale, i carcerieri e gli agenti segreti dello Stato Islamico si avvalgono dei metodi di tortura e di interrogatorio tra i più brutali e sanguinari che si conoscano e allo stesso tempo utilizzano le più sofisticate tecnologie informatiche e perseguono una raffinatissima strategia di guerra psicologica, soprattutto nei confronti dell’opinione pubblica occidentale.

Tutto questo è l’ISIS, anzi il Dawla (lo Stato Islamico in arabo): uno stato fondato sulla violenza e sul terrore i cui meccanismi misteriosi Gabriele Del Grande, giornalista reporter e scrittore, è riuscito a penetrare come pochi altri analisti ed esperti occidentali, grazie al racconto di coloro che, pur essendosi macchiati di crimini efferati, pur avendo torturato, massacrato e stuprato in seguito alla conquista di una parte dei territori dell’Iraq e della Siria, a un certo punto della loro vita hanno deciso – per vari motivi – di disertare, di chiamarsi fuori da questa barbarie assoluta. Questo dunque è un libro che dà voce ai carnefici più che alle vittime, un reportage romanzato che è stato possibile pubblicare grazie ad una intelligente operazione di crowdfunding e che, come scrive Del Grande, non vuole in alcun modo giustificare ciò che questi uomini hanno fatto, ma vuole semplicemente raccontare, ancora una volta, la banalità del male.

L’intento è infatti quello di farci capire come questi assassini non siano affatto geni del male, ma avrebbero potuto tranquillamente gestire un ferramenta o uno sfascio a Baghdad o a Damasco, cioè condurre una vita assolutamente normale, se non avessero avuto questa occasione unica di arricchirsi e di decidere della vita o della morte di migliaia di persone, grazie alla guerra e alla situazione politica incandescente in Iraq e in Siria. Dawla ci aiuta a capire come si è arrivati a questa condizione di caos, come è stato possibile che un territorio che è stato per secoli, anzi per millenni, la culla della civiltà, dove le varie confessioni religiose hanno convissuto in pace in una straordinaria mescolanza di culture diverse, si sia trasformato in pochi anni nel regno della barbarie.

Rispetto all’Europa e all’Occidente l’ISIS dovrebbe rappresentare l’alterità radicale, la negazione totale dei nostri valori – questa la vulgata propagandata dai teorici dello scontro di civiltà. Eppure questi terroristi, nella loro forma mentis – a parte i versetti del Corano imparati a memoria, i riferimenti ad alcuni classici dell’Islam radicale come Abd al-Wahab, Ibn Taymyya, Sayyid Qutb, Abd Allah Azzam – sono quanto di più occidentale si possa immaginare. Non solo per il loro nichilismo e il loro disprezzo della morte, tipici frutti della cultura occidentale, ma anche perché in ultima analisi sono stati i grandi «strateghi» e le multinazionali occidentali ad aver dato inizio a tutto il grande caos mediorientale. Il libro di Del Grande ci offre una miniera di informazioni e degli spunti molto interessanti: ci fa capire che alcune nazioni, comprese quelle stesse che si trovano nel mirino dell’ISIS, hanno avuto interesse a rovesciare il regime di Muhammar Gheddafi in Libia e a scatenare la rivolta contro il regime di Bashar Assad in Siria non perché volessero esportare la democrazia, ma perché volevano mettere – come al solito – le mani sui soliti giacimenti di petrolio e di gas. Ci sono servizi segreti, come quelli delle monarchie del Golfo, che hanno sempre sostenuto e finanziato questi terroristi, nonostante i proclami dei predicatori islamisti radicali contro la dinastia apostata dei Saud; ci sono istruttori americani e italiani che hanno addestrato i militanti di al-Nusra alle tecniche della guerriglia e all’uso degli esplosivi; ci sono i trafficanti di armi turchi e italiani che si sono arricchiti vendendo armi all’ISIS in cambio di petrolio a buon mercato; eppure l’Occidente continua a far finta di niente, e il Presidente Trump continua a scagliarsi contro l’Iran che invece è un nemico giurato dell’ISIS ed uno degli obiettivi privilegiati dei suoi attentati, come dimostrano gli attacchi del 22 settembre scorso. Insomma, c’è qualcosa di nuovo, anzi di antico, nell’ISIS: esso perpetua sotto forme nuove quello che è sempre stato il “Grande Gioco” delle potenze occidentali in Medio Oriente, e alla base della sua forza e della sua capacità offensiva ci sono pur sempre gli ingredienti fondamentali della guerra contemporanea: le strategie geopolitiche, gli approvvigionamenti di gas e petrolio, i grandi flussi finanziari, la componente psicologica e la propaganda, etc.

Inoltre Del Grande ci fa comprendere come la «macelleria siriana» attuale non nasca dal nulla, ma sia figlia di un’altra macelleria precedente, quella attuata da Bashar Assad contro i suoi oppositori nelle famigerate carceri siriane, tra cui Saydnaya, teatro di una sanguinaria rivolta nel 2008. Quei penitenziari sono stati per anni veri e propri incubatoi del terrorismo, fucine di radicalizzazione per centinaia, migliaia di oppositori del regime. Ecco perché una protesta che all’inizio si basava su principi squisitamente laici (la richiesta di maggiori spazi di democrazia, di un maggiore rispetto per i Diritti Umani da parte di un regime oppressivo a partito unico) si è trasformata in una guerra di religione dove la democrazia è vista come il demonio, un sistema politico fondamentalmente incompatibile con la Legge di Dio, la Sharia, e il nemico da abbattere è tutto ciò che è kufar, cioè infedele, cioè tutto ciò che non è mussulmano sunnita.

Del Grande ci offre anche uno spaccato delle terribili prigioni segrete del Dawla, come i famigerati sotterranei dello «Stadio Nero» di Raqqa, dove gli infedeli, le spie e i traditori vengono torturati con una brutalità senza precedenti. È questo il «capolavoro» di chi, in Occidente, pur avendo la possibilità di risolvere pacificamente i conflitti, ha lasciato incancrenire per settant’anni la questione israelo-palestinese, ha finanziato e armato i mujahidin in Afghanistan in funzione antisovietica, e poi si è ritrovato improvvisamente a dover fronteggiare la minaccia che veniva proprio da quelle milizie che gli americani ed altri avevano così bene addestrato. Dai mujahidin siamo passati ad Al-Qaida, che ha cominciato ad attaccare obiettivi occidentali, per poi arrivare, dopo l’11 Settembre, all’ISIS di Abu Mussab al-Zarqawi in Iraq e infine all’ISIS di Abu Bakr al-Baghdadi, diventato un autentico network del Terrore Globale.

Ecco perché l’ISIS rappresenta un tipico fenomeno «perturbante», secondo la terminologia di Freud: un fenomeno che ci è profondamente estraneo e al tempo stesso familiare. Il coinvolgimento dei civili nelle operazioni belliche e l’utilizzo degli attentati per portare avanti le guerre asimmetriche, le guerre che non si possono dichiarare apertamente, comprese la Guerra Fredda e la cosiddetta Strategia della Tensione di casa nostra: tutto questo è stato messo a punto in Occidente. Senza queste premesse teoriche occidentali non si sarebbe sviluppato su larga scala il terrorismo palestinese negli anni ’70, che piano piano è uscito dai suoi binari laici e si è trasformato in terrorismo islamico. Improvvisamente è cambiato tutto: i combattenti palestinesi sono diventati terroristi kamikaze e il fondamentalismo di Hamas e della Jihad Islamica ha cominciato a guadagnare consensi anche all’interno della Striscia di Gaza.

Del Grande, pur mascherando in parte – per ovvi motivi – questi avvenimenti nella sua narrazione romanzata, ci racconta tutto questo: la nascita dello Stato Islamico, le grandi manifestazioni contro il Regime di Assad, la conquista di Raqqa da parte degli insorti e la progressiva eliminazione ed espulsione di tutti quegli oppositori di Assad che non erano islamisti radicali. Il nostro autore è riuscito addirittura ad ottenere informazioni di prima mano non solo sulla Sicurezza Interna dell’ISIS, ma anche sulla segretissima Sicurezza Esterna, cioè quell’apparato che è direttamente coinvolto nella preparazione degli attentati in Europa. Si tratta di uno spaccato eccezionale, dall’interno, di tutto quel groviglio di servizi segreti e di strutture paramilitari che si adopera ogni giorno per diffondere il Terrore nell’opinione pubblica dell’Occidente, con personaggi che, nella loro banalità, non sanno far altro che scimmiottare ancora una volta modelli occidentali. Ce n’è uno che si faceva chiamare Michael Jackson, un altro si faceva chiamare Jihadi John, un altro lo chiamavano Prince, altri ancora i Beatles, e così via. C’è perfino un regista americano che lavorava alla serie di film horror Saw, l’Enigmista, il quale si è convertito all’Islam radicale e ha collaborato alla realizzazione dei filmati di propaganda del Dawla. Sicuramente, in questa nuova fase della sua carriera, non ha più bisogno del sangue finto che utilizzava in America per gli effetti speciali…

Le rivelazioni di Del Grande confermano inoltre quello che è ormai diventato un luogo comune: la presenza tra i dirigenti dell’ISIS di numerosi ex ufficiali dell’esercito di Saddam Husayn che, dopo il disastroso intervento americano in Iraq, sono passati armi e bagagli nelle file dello Stato Islamico, e l’analogo passaggio di numerosi esponenti dei Servizi Segreti siriani nelle strutture supersegrete del Dawla. Dunque il vero capo dell’ISIS non è certo Abu Bakr al-Baghdadi, messo lì soltanto perché appartiene al ramo Banu Hashim della tribù Quraysh, e dunque discendente dal Profeta, ma ex militari dell’esercito di Saddam, tra cui l’ex colonnello iracheno Haiji Bakr e il suo assistente Haiji Abd al-Nasir, destituito nell’estate del 2017. Ma la catena di comando prosegue, perché dietro di loro il potere reale è gestito dai due capi della Sicurezza Interna e dal capo della Sicurezza Esterna, più un quarto personaggio misterioso, il capo della Sicurezza Segreta, coadiuvati a loro volta da persone insospettabili, vestite alla moda occidentale, con le barbe rasate, che manovrano le leve del potere coperti da un perfetto anonimato e magari risiedono a Roma, a Milano o a Dubai in dimore di lusso. Dietro il Dawla, dietro la cortina fumogena dei proclami di al-Baghdadi che incitano i martiri al jihad globale, ci sono i servizi segreti internazionali, ci sono le grandi speculazioni finanziarie, ci sono le potenze straniere che hanno interesse a soffiare sul fuoco del radicalismo islamico al fine di destabilizzare tutto il Medio Oriente ed ottenere in questo modo sempre la stessa cosa, l’unica cosa che è sempre interessata alle cancellerie occidentali: il petrolio e il gas, uno sterminato mercato per le proprie armi e una fornitura illimitata di preziosissimi reperti archeologici e di rarissimi manoscritti antichi da rivendere in Occidente a cifre da capogiro.

La lettura di questo libro è caldamente consigliata a tutti quei grandi strateghi della geopolitica che un bel giorno hanno pensato che avrebbero sconfitto per sempre il Terrorismo concentrando tutti i jihadisti in un unico territorio e poi bombardandoli senza pietà. La lezione che si ricava dal libro di Del Grande, invece, è un’altra: il terrorismo islamico non si sconfigge con le bombe, ma con un paziente lavoro di intelligence, intervistandone i protagonisti, raccontando le loro storie, imparando a conoscere il nostro nemico.

Il primo passo, insomma, è guardarsi allo specchio.