L’inquieta vita di un quadro, o per meglio dire, di due quadri e di una modella che non poteva adeguarsi alle mestieranti di Gustav Klimt, pittore le cui modelle passavano per il letto strategico disposto nel suo studio. Invero fascinosamente descritte dal tratto grafico dell’artista in pose sfacciate o peggio concupiscenti. Niente di tutto questo per la ragazza indirizzata con veemenza nello studio di Klimt da Emilie Flöge dell’atelier Schwestern Flöge a Vienna, dotato di lussureggianti rotoli di stoffa a metraggio, trine e stipati registri contabili. Emilie, incuriosita dalla bellezza della fanciulla, di nome Anna e tessitrice, quel giorno decise che faceva al caso suo, che poteva essere ritratta dall’artista per poi trarne una cartolina pubblicitaria per l’atelier. In quella primavera del 1910 in Josefstädter Strasse Anna venne accolta da Klimt, come al solito in caffetano lungo fino a terra e alle prese con i gatti e le modelle completamente nude. Ma da lei non si esigeva corpo spogliato, bensì il bel volto d’ampie sopracciglia, bocca rossa, incarnato luminoso e occhi cilestrini. Uno sguardo che avrebbe incantato, con la supremazia di tutto quel colore, il popolo viennese dell’epoca.
Gabriele Dadati ha scritto il romanzo di un’epopea pittorica e di una cronaca familiare, come testimone capace di scavalcare due secoli, ripercorrendo avvenimenti personali in anni problematici e incauti verso gli uomini e la storia. Andando indietro nel tempo, dal 2019 verso il 1985, il 1967 e il 1935, il 1917 e infine (ma l’inizio è tutto lì) il 1910. Altrettanti capitoli in cui le vicende si intessono di emotività e scenari dove spicca la veritiera immagine tridimensionale di un Klimt un po’ furbesco e di certo travolto dall’insistenza coloristica e floreale del suo armamentario pittorico. In questo clima emerge la vicenda del doppio quadro, il secondo Ritratto di signora scoperto quasi per caso in epoca recente e trafugato dal museo, per poi ricomparire misteriosamente nello sgabuzzino della Galleria Ricci Oddi di Piacenza. In quelle sale proprio Dadati stava curando la mostra dedicata a Stefano Fugazza, indimenticato direttore della Galleria d’arte moderna. Nel dicembre 2019, pressoché un secolo dopo, l’intimità familiare di Dadati viene dirottata verso un appuntamento al Caffè dei mercanti, dove un signore distinto e imperturbabile ha qualcosa da raccontare. Nell’arco di un lungo pomeriggio il passaggio del tempo si allarga a dismisura, si dispiega in una narrazione che lo scrittore aggiusta e ricuce completando la mutevolezza delle epoche e soprattutto dei personaggi coinvolti. Klimt e Anna, modella per sorte e poi madre di chi verrà dopo nel corso delle generazioni.
Il caso, nella storia dei fatti, appare del tutto necessario, perfino la stesura di questo libro avviene in un luogo e in un tempo in cui resistere è arduo, poiché bisogna ritirarsi, poiché in giro per Piacenza e altrove il Covid-19 allestisce il suo sterminio. I pochi mesi precedenti sembrano lontanissimi da quella primavera, non “di bellezza” ma di sbandamento e resistenza così come nel romanzo di Beppe Fenoglio. Lontanissimo il fantasma, o persona reale, che compare davanti a Dadati raccontando la sua storia mentre al di qua del libro molti si chiedono – e si sono chiesti tempo addietro – chi sia la donna ritratta da Klimt in due momenti diversi. E chi rubò l’opera, chi la restituì in un sacco della spazzatura. Ma Vienna allunga le sue ombre Jugendstil, ben poco brillanti se non per le gote incipriate e rossastre della donna che ci guarda interrogativa schiudendo le labbra. La modella di Klimt non è l’indagine di uno scrittore trovatosi all’incrocio di diversi destini, ma l’approssimarsi commosso a padri e figli legati da sacri vincoli e segreti di vagheggiante calore e nostalgia.
La storia non sembra finita, e poiché nessuna storia finisce davvero, e per sempre, varrà la pena di tanto in tanto aggirarsi nei luoghi definiti dal romanzo e sentirsi viaggiatori non casuali, così come viene suggerito non tanto velatamente dall’autore. Sgretolare le macerie per far ritorno all’originale può sembrare una bizzarria, ma vale sapere che in ogni granello di polvere è contenuto un mondo (più mondi), fatto della stessa materia dei colori posati su una tavolozza. La contabilità quotidiana sparisce per lasciare il posto agli occhi buoni del doppio Ritratto che ancora guardano, vivi, quanto rimane di una famiglia.