Frederik Pohl / Oltre a Dick e Ballard c’è dell’altro

Frederik Pohl, Com’era il futuro, tr. Salvatore Proietti, Delos Digital, pp. 312, euro 18,00 stampa, euro 7,99 epub

Quando penso alla fantascienza e ai suoi autori più importanti e caratterizzanti, non penso più a Philip K. Dick e James G. Ballard, che hanno trovato all’interno del mondo culturale generale un loro ampio spazio, ma a quegli scrittori che ancora sono noti e stimati solo tra i lettori specializzati in questo genere. Questo ribaltamento non vuole certo diminuire l’importanza che Dick e Ballard hanno avuto nello sviluppo e nel successo della fantascienza, ma semplicemente constatare che le loro opere oggi sono un patrimonio globale affrontato con metodi critici e storici molto sofisticati e che ha visto, non senza qualche malumore, il confronto tra critici e storici per lo più militanti (provenienti dal mondo della fantascienza e in buona parte dalle università) e studiosi accademici il cui approccio agli autori è avvenuto senza la conoscenza completa del genere di provenienza (in molti casi, in fiera assenza).

Oggi che la fantascienza ha vinto la sua complessa battaglia culturale diventando la letteratura del presente, ovvero ritrovandosi a essere l’unico linguaggio in grado di gestire e interpretare il collasso dell’immaginario sulla realtà, mi sembra evidente che sia avvenuta una diffusa volgarizzazione di questo genere spesso attraverso lo scadimento della qualità letteraria e inventiva. Nel cinema e nel fumetto, soprattutto, la visione della fantascienza è un approccio artistico “normale” e diffuso, mentre nella scrittura l’aumento dell’offerta di scrittori mainstream di successo, e di un fitto stuolo di imitatori non sempre convincenti, è invece ancora scarso. Rimane dunque una fantascienza della fantascienza di cui solo i lettori appassionati hanno in mano i codici estetici per comprenderla ed amarla. A ben vedere Renato Giovannoli, nel suo studio La scienza della fantascienza (Bompiani, ultima edizione 2015), aveva già ampiamente spiegato che uno degli elementi principi per ottenere una fruizione soddisfacente della fantascienza risiede proprio nel parco di lettura precedente in cui siano stati introdotti una serie di paradigmi indispensabili alla decodifica e fruizione del testo. Tuttavia non è chiaro perché questo effetto di specializzazione sia così forte nel lettore rispetto al fruitore di cinema e fumetto.

In un contesto come questo è quindi indispensabile rilanciare la cultura interna della fantascienza e, soprattutto, la sua storia, quali elementi fondamentali per aumentare il piacere e la consapevolezza della lettura dei classici e dei contemporanei. Questa lunga premessa mi è servita perché un libro come l’autobiografia di Frederik Pohl è certamente un grande evento per i lettori interni al genere della fantascienza scritta. E ancora, credo che al di là di Dick e Ballard, vada rilanciata la fantascienza di Pohl, Ursula Le Guin, John Brunner, Robert Silverberg, Isaac Asimov, Robert A. Heinlein, Robert Sheckley, Clifford Simak, Michael Moorcock e molti altri che hanno lavorato e scritto nell’ambito del genere e, attraverso i loro rapporti personali, hanno costruito un complesso sistema letterario interagente. In questo senso Pohl descrive molto bene le relazioni e gli scambi di idee che stanno alla base della fantascienza, stimolato dai rapporti diretti tra editor e autori, dalla povertà economica delle riviste “pulp”, e dalle continue discussioni sul significato di questo genere letterario. La prima parte del libro, assieme al testo di Damon Knight The Futurians (1977), chiarisce molto bene come, a differenza di ogni altra letteratura, la fantascienza abbia praticato un favoloso cortocircuito tra autori, lettori, illustratori e editor creando un ambiente atipico di interscambio culturale e di influenza.

La fantascienza, attraverso i primi club di appassionati, ha progressivamente creato un attivismo culturale importante, di base, chiamato Fandom, che non è mai stato sede di adorazioni acritiche di scrittori e libri, ma spesso caratterizzato da un’estrema combattività. Nel caso di Pohl, e del gruppo di amici come Asimov, Knight, Kornbluth, Merril e Wollheim che, come lui, si uniranno prima nel Committee for the Political Advancement of Science Fiction e, successivamente, nei Futurians, il livello di scontro diventò immediatamente molto elevato tra coloro che credevano in una fantascienza critica verso il presente e che dovesse preparare l’avvento a una società socialista, e coloro che ritenevano la critica sociale e l’impegno fondamentali per dirigersi verso un modello tecnocratico. Negli anni Trenta del Novecento, prima devastati dalla Crisi del ’29 e poi caratterizzati dalla politica rooseveltiana del welfare, l’intero mondo della fantascienza era accomunato da una critica radicale verso la classe politica, la finanza, e le speculazioni, pretendendo che le utopie (conosciute a fondo) iniziassero ad attuarsi in forma di fiducia verso la scienza e la tecnologia o verso il controllo della classe operaia sui mezzi di produzione e sulle scelte politiche.

Il giovanissimo Frederik Pohl è un comunista di Brooklyn che affronta con passione una sfida, quella del futuro. Un futuro che oggi possiamo guardare e studiare nella dimensione storica che descrive l’enorme lavoro compiuto sulle utopie dell’Ottocento per svelarne le ambiguità intrinseche nel controllo delle macchine e nelle contraddizioni autoritarie del movimento comunista della Terza Internazionale. Pohl ha vissuto tutto questo con passione, affrontando ognuno dei punti oscuri della nostra Storia recente: dall’ardore della militanza e della solidarietà con la Repubblica spagnola alla condanna verso l’opportunismo dell’effimero patto di non aggressione firmato da Molotov e Ribbentrop. Ma ognuno di questi grandi temi si interseca con l’evoluzione della fantascienza e con le difficoltà lavorative, le paghe scarse, i rischi di licenziamento, la crisi delle riviste pulp e la rinascita del mercato editoriale, che lo vede alla direzione della più bella rivista di tutti i tempi: Galaxy.

Ma il Dopoguerra e il successo come agente, scrittore ed editor, non sono certo un motivo per abbandonare la sua visione critica della società. Nel 1952, con Kornbluth, pubblica, in pieno maccartismo, il manifesto della Social Science Fiction: il romanzo I mercanti dello spazio. Si tratta di una graffiante anti-utopia che descrive l’umanità dilaniata dal consumismo più sfrenato e che ha esaurito tutte le risorse naturali. Ogni tecnica di pubblicità è ammessa, compresi i messaggi subliminali e l’inserimento nei generi alimentari sostanze che provocano assuefazione ai prodotti, e i lavoratori sono ridotti a schiavi da contratti iniqui e le multinazionali si disputano territori e fette di mercato con vere e proprie guerre. La stessa democrazia è stata depotenziata e il potere di voto è proporzionale alla ricchezza posseduta. Anche solo questo brevissimo riassunto porterà molti di noi ad ammettere che è tutto vero… o quasi… Dunque Pohl non ha mai abbandonato le sue idee giovanili, declinate all’interno di un comunismo onesto, approfondendo la sua critica attraverso una radicalità che soltanto la fantascienza poteva offrire. E dal suo esempio, per un decennio, la fantascienza sociale statunitense esprimerà il più compatto fronte culturale contro la riduzione dei diritti e delle libertà individuali, il razzismo, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse planetarie, il controllo sociale abusivo, il controllo politico dei media e delle agenzie statali e il sessismo negli Stati Uniti.

Questo libro ha un solo difetto, ma forse la colpa è proprio di Frederik Pohl: si ferma al 1977. Ma noi sappiamo bene quanto gli anni successivi siano stati ricchissimi di scritture ed evoluzioni nello sterminato campo della Fantascienza. Peccato…