Ci sono autobiografie – in questo nostro mondo che vorrebbe mostrarsi occasionale agli occhi disperati di chi cerca oltre i riflettori – che sono di tutti, e da tutti attingono quanto di buono c’è nei loro tragitti. Cose che non ingialliscono presentano (dell’antico lontano dalla mondanità) a chi vuole, a chi desidera, l’angelo della Storia che attraversa i boschi di Thoreau, di Emerson, lasciando accadere i pensieri: nella Comunità degli animi che un poeta come Cesare Viviani nel 1997 vedeva estendersi fra alberi testimoni di pianti ma anche di unica possibile unione degli occhi “specchio vivente”. Ora bisogna immaginare il bene, scriveva, e mentre tutto sembra immobile ecco che la costruzione dell’animo (a cui aspira Franco Marcoaldi, da sempre, con le sue poesie e i suoi scritti, in solitaria o insieme all’amico Tomaso Montanari) “muove, muta, trasforma, fissa una meta” (sempre Viviani) avvicinando il senso dell’esistenza.
I cani sciolti sono questi, dopo aver perso pigre illusioni ma ben lontani dall’oscuro nichilismo che spesso s’allarga nell’enfatica disperazione. Amano la lingua e il silenzio che l’accompagna, stanno alla larga dalle bande pur sapendo inoltrarsi nella complessità umana – come Hemingway, Weil, Woolf, sul filo del rasoio dello smarrimento. A Marcoaldi piacciono i tentativi e i meglio fallimenti di beckettiana memoria perseguiti da una mente matura che abita la propria abitazione scarna, modesta e pulita. Espandendo la pulizia agli ambienti frequentati per lavoro e amicizia. Così come Hirayama, il sessantenne giapponese del film di Wenders fa nella sua opera di pulitura dei bagni pubblici di Tokyo mentre nella sua dimora cura, dedito e assorto, minuscole piantine e legge Faulkner. Una cerimonia quotidiana priva di enfasi: la cura continua, giorno dopo giorno, di una situazione. Passeggiate in bicicletta nell’ipertecnologica metropoli, vecchia musica rock ascoltata in musicassetta, ecco la non appartenenza messa su pellicola in Perfect Days: una comunità di anime, sconosciute l’una all’altra, “custodi severe della sacralità della persona”, precisa Marcoaldi in ogni pagina del suo libro.
Come nelle sue poesie, l’autore in Cani sciolti si misura con la visione della terra, senza fraintendimenti s’immerge nella natura allineando i paradossi prodotti dalla specie umana. E la lingua ancora una volta attraversa tutto, libera guarda alle circostanze. Un Camus fedele a sé stesso, un Kafka sognatore.
Intanto Marcoaldi cammina sui terreni della sua Maremma, tra passato prossimo e presente, anima tra felci e scrittori amati, colloquia intimamente con esseri viventi di svariate forme e possibilità vitali pago della sua wilderness: una rete prossima e lontana, di pensieri e versi mai dimenticati. Questo fa del bene alla comunità (“costellazione”, certo) fisica, emotiva, mentale dei cani sciolti. E la lingua ringrazia.
(Poesie di Franco Marcoaldi)