Le visioni di Franco Loi, trasformate in musica, attraversano l’intero corpo del lettore che improvvisamente ritrova – con qualcosa in più di valoroso, se possibile – la voce del poeta unita alla vibrante voce di Umberto Fiori, poeta pur egli, e musicista unito per anni al gruppo Stormy Six. Due avventure della seconda metà del Novecento poetico e musicale che s’incrociano lungo somme correnti dove si sono fatte le ossa mondi e scrittori attenti alla lingua, al suono, alla fluidità di onde migranti. Il movimento delle labbra dunque giunge oggi raddoppiato non solo perché Fiori converge preciso nell’intensificarsi della lingua di Loi che passi e passioni sparge intorno a sé oltre a ciò che si definisce dialetto.
Le canzoni sono messe in musica da Tommaso Leddi, anch’egli appartenente agli Stormy Six dagli anni Settanta, polistrumentista il cui padre spesso ospitava in casa l’amico Loi che regalava ai bambini presenti lunghi racconti. Quando nella maturità Leddi prova a elaborare alcuni accordi sui versi del poeta qualcosa avviene a Lerici in casa Fiori, il lavoro s’espande con improvvisazioni attraverso voce e chitarra: nel giro di un anno tutte le canzoni di Vòltess sono pronte. Vòltess, vòltati per simpatia o rumore sentito, come una donna per strada, per colui che ruba l’andare via di qualcuno.
Visioni e atmosfere emanate dal prezioso libro con la compagnia di un cd contenente le dodici canzoni, e le altrettante poesie così ricaricate nell’antica familiarità che ci unisce alla poesia del Novecento italiano. Geografie regionali e passioni politiche s’intrecciano fortemente nel trio di poeti e musicisti, con lunghe incursioni nell’universo delle comunità. Questa è storia nota anche se occorre oggi, nei tempi malati d’invasioni virali e sordide minacce oscure, evitare rovesciamenti prospettici e rinfrescare consapevolezze sbiadite: in una parola, rievocare incessantemente la cronaca e le più riposte pieghe del vivere. Esistono ancora i crudi e fervidi decenni in cui la “comunità degli animi” stava al culmine dell’inventiva e non si lasciava abbattere dall’aggressione terroristica e dalle violenze sociali. Esistono se non ci accontentiamo della memoria.
La vita e la storia, nella poesia di Loi, non sono mai venuti meno, e ora la voce di Fiori diventa quel canto che riconosce l’epopea degli umili, la nebbia dei primi giorni milanesi dopo il trasferimento da Genova di un ragazzino che in sogno incontra Noventa e poi scopre la nudità “vera” di donne e scrittura. Le periferie fatte di treni, di borghi in quegli anni – dal 1939 al 1960 – diventano un cuore pulsante pieno di novità, voci e suoni. E tutto torna in un libro che stringe il tempo, mentre le note s’allargano nelle nostre stanze, le fa respirare e spinge via le bugie che qualcuno fa credere siano vita. Fiori, Leddi, Loi, insieme fanno voltare i treni che non ci sono più: da linee scomparse li sentiamo passare sotto casa con tutti i loro mondi e le memorie, e perfino la morte si può ritrovare senza paura.