Franco Loi resta alla memoria con la potenza che molte generazioni tengono in sé, e che in questo inizio di 2024 torna con due libri che lo proiettarono sulla scena poetica nei lontani 1975 e 1978. Anni che – come bene scrive Giancarlo Consonni nella prefazione – con i seguenti due decenni spazzarono via quel mondo che Loi aveva “scritto” e descritto con palpiti e passione. Dentro la sua Milano, attraversata con passi decisi dopo che lui e la sua famiglia avevano lasciato per sempre il quartiere di San Fruttuoso a Genova: alle spalle i monti e i marosi, e davanti agli occhi la città che si allargava intorno alla Stazione Centrale. Era il 1937, e la nebbia era ancora nebbia.
Stròlegh e Teater, uniti in un solo volume, sono riproposti nella stessa collana “bianca” dove uscirono, il primo con l’introduzione di Franco Fortini. Dopo che Mengaldo dedicò nella sua antologia Poeti italiani del Novecento un’ampia selezione di versi, Loi si immette nel filone della grande poesia dialettale italiana, ma tenendo sempre bene in vista la traduzione in italiano nella stessa pagina di ogni libro presente e futuro.
In ogni opera Loi sembra ripetere “io sono qui”, l’opzione dello spazio torna ogni volta alla coscienza, e senza inimicarsi la nostalgia il nostro poeta accoglie una brezza di gesti antichi e gentili. Così abbiamo più di un’aria, gelida o primaverile, da cui trarre i conti col passato, dall’infanzia alla giovinezza. Proprio sul nascere e sul confine appaiono le case, gli armadi, le strade testimonianti la memoria. La città è sempre lì davanti, con intorno il suo oceano terreno. La permanenza della memoria trova qualcosa di proficuo nella voracità del vivere, mai venuta meno durante i novantuno anni di vita. Libro dopo libro la sua lingua (che proprio milanese, per chi se n’intende, non è) diventa sempre più incandescente, sollecitando ricordi e occhi famigliari, mentre navigli e ferro cittadino segnano il tempo. Ogni giorno è in ogni verso la somma degli eventi nel vivo sangue della biografia.
Strade, ragazze, amici, alberi, cani, raccolti sotto l’insegna del tempo. Istanti presi nella retina ma trattati con ogni cura, sapendo bene come la delicatezza delle cose si trasformi presto in polvere impalpabile. Giorni e anni senza limiti, compresi nel clima mutevole che serpeggia nelle vie di Milano che si trasforma nella scena di un “teatro”. Lo sferragliare dei tram non è suono che possa trovarsi ovunque, così aiuta a stringere i pensieri in un punto preciso, materno e paterno insieme. Lo sguardo non abbandona, riesce a far spalancare il cuore segreto, più interno, delle cose. Da un capo all’altro di Stròlegh e Teater ci sono passi forti e decisi, c’è un bello del parlare che è di pochi. Una rete di corrispondenze fonetiche che rendono grati all’ascolto. Fiato e sguardo. Lingua e gesto. Conquistati dall’uomo per donne e uomini.