Nel tentativo di “fare spazio” al ruolo delle donne nella storia, fioriscono negli ultimi anni libri che ridefiniscono il canone, raccontano figure femminili che sono state (pure loro, come i maschi) filosofe, mistiche, artiste, lavoratrici. Libri che tentano di riscrivere una disciplina dal punto di vista del femminile. A dire il vero, però, il vero elefante (la elefantessa) nella stanza – prendendo la metafora dal bel libro di Daniela Brogi (Lo spazio delle donne, Einaudi 2022) – il vero elefante che non si riesce a vedere o si finge di non vedere non sono le donne che nonostante tutto hanno fatto cose ma le donne assenti, quelle che non hanno potuto, non hanno avuto lo spazio (politico, sociale, fisico) di aspirare a. Sono le sorelle di Shakespeare, per riprendere un pensiero di Virginia Woolf: quelle donne che, seppur dotate di grandissimo talento e capacità, non hanno e non avrebbero potuto mai esprimere se stesse; come appunto, nell’ipotesi di Woolf, sarebbe accaduto a una talentuosissima sorella del Bardo. Donne che non entreranno mai nel canone, se non altro perché non conosciamo i loro nomi né i desideri. La narrazione di quel silenzio, di quell’elefantessa muta più che invisibile, è una sfida quasi impossibile ma necessaria. Per la rottura del canone, non per entrarci. Carla Lonzi scriveva “ci piace, dopo millenni, inserirci (…) nel mondo progettato da altri?” (Sputiamo su Hegel, 1970, riedizione La Tartaruga 2023). Non ha ragione d’essere la speranza di entrare in schemi conformati a misura di uomini.
Donne del tutto smisurate, più o meno illustri, dalla personalità spesso eccezionale, eccentrica, o fumosa come quella delle Dee madri, sono quelle raccontate nel volume scritto a quattro mani da Franco Cardini e Marina Montesano. Tra i meriti del libro (e forse tra le arguzie) c’è quello di mescolare donne reali e immaginarie senza rilevare la differenza. Nell’immaginario (prevalentemente maschile?) della Grecia antica le donne fanno tutto quello che nel quotidiano reale non era permesso (nemmeno nella “democratica” società ateniese, dove non potevano neppure andare a teatro); e fanno, soprattutto, cose tremende e scelte impossibili: restare vergini, non sposarsi, uccidere figli, vivere incesti. Sono spesso solitarie, ribelli, alternative, come le Baccanti, le maghe Circe e Medea, Artemide, Mirra, Antigone.
Nella sfera cristiana, invece, un modo per distinguersi e in qualche modo aspirare a un trattamento “altro” da parte del consesso sociale è la castità. La sacralità è sempre connessa con la castità, a partire naturalmente da Maria – madre di Dio senza essere dea, madre pur essendo vergine. Naturalmente fino a un certo punto, come dimostra la complessa evoluzione del culto mariano: alla tesi dell’Immacolata Concezione, ad esempio, non credeva Bernardo di Chiaravalle, il teologo più devoto della Madonna, perché ai suoi occhi Maria non poteva costituire una eccezione all’umanità corrotta dal peccato originale. L’assenza del corpo, se non come malattia che svela tormenta e risveglia, segna la vita delle mistiche come Ildegarda da Bingen, Caterina da Siena, Teresa d’Avila.
La trattazione di Cardini e Montesano prosegue sino all’età moderna con un piglio biografico ed enciclopedico ma d’altra parte, gli autori lo dichiarano nell’introduzione, è un “bizzarro cammino” attraverso le storie di donne un po’ dee, un po’ madri, amanti, spose, vittime, assassine, sacerdotesse, vestali, negromanti, fate, streghe, valchirie, sciamane. Tutte in qualche modo entrate a contatto con il sacro, inteso come una “forza silenziosa e sottile, ma sconvolgente: qualcosa di totalmente diverso, di ‘altro’, rispetto all’umano”; “non abbiamo tuttavia cercato”, scrivono, “nelle nostre protagoniste, solo il primato dell’eccellenza: ma qualcosa d’inesprimibile, un quid maius”. In queste donne che interloquiscono con Dio, parlano con i morti, o con il sacro, insospettabilmente legate per il solo fatto di essere carismatiche come Evita Peron, talvolta fatali e pericolose come Cleopatra, il motore della forza sacra è il femminile. Senza che questo venga definito e pienamente compreso e con il dubbio che una parte di esso sia costruita dalla percezione maschile, dal desiderio (invertito, non confessato) di vivere con donne del tutto diverse da quelle costrette al proprio fianco.
Nelle conclusioni ci si interroga su cosa sia il sacro femminile oggi, se esista o possa esistere un equivalente delle Dee madri: figure mistiche e sensuali nello stesso tempo, che non disdegnano il corpo e che rimandano a qualcosa che è oltre l’umano. La sacralità si nasconderà forse dove non sembra esserci niente e il femminile appare appannato e oscuro. Gli autori ci insegnano che una donna con in mano una scopa di saggina rimanda alla dimensione casalinga di uno spazio chiuso ma la sua inversione (il grande timore e nello stesso tempo il desiderio dell’uomo? L’emancipazione e l’uscita dal margine, consapevole, della donna?) è una strega che vola.