Fa una certa impressione leggere il diario che Franco “Bifo” Berardi ha tenuto tra il febbraio e il maggio del 2020, alla fine dell’ottobre dello stesso anno, con l’Italia e il mondo in condizioni ancora più critiche e sulla soglia di un nuovo e ancor peggiore lockdown. L’orizzonte dell’estinzione, già presagito dal filosofo nelle sue riflessioni più cupe (non manca in altre la speranza di un’inversione di rotta per altro del tutto ipotetica), si rende visibile adesso con ancor maggiore nitidezza.
Nefasti sintomi lo profilano come cavaliere dell’Apocalisse: un’universale prospettiva di flagrante incompetenza delle istituzioni e inadeguatezza cognitiva da parte della cosiddetta società civile; la sequela di provvedimenti palliativi, inutili e impopolari dei governi; le proteste sempre più simili a rivolte e insurrezioni – frequenti, violente, cavalcate e fomentate, sempre, dall’estrema destra – che ormai deflagrano in tutte le città italiane, finora inerti; i propositi di soluzioni concentrazionarie e poliziesche della crisi che pongono, purtroppo, la Cina – fra i pochi Paesi che hanno avuto in qualche modo ragione del virus – a modello strategico di contenimento della pandemia; lo scenario desolante di un’Europa sempre più frammentata e arroccata nell’autismo del Kaspar Hauser di Werner Herzog: “ognun per sé e Dio contro tutti”. E di un’America in frantumi che si lecca le ferite infette, incapace di liberarsi da chi invece di renderla “di nuovo grande” le ha dato il colpo di grazia; e così via, di peggio in peggio.
Il “diario dell’anno della peste” di Bifo tratteggia paesaggi che appaiono al lettore attuale, a distanza di pochi mesi, già sconvolti e scavalcati dagli eventi: la tregua estiva non era un sospiro di sollievo ma solo la breve apnea prima del tuffo nella “seconda ondata”; l’aria improvvisamente respirabile delle città è già tornata irrespirabile facendo convivere inquinamento e pandemia; il lavoro salariato non ha subito contrazioni o riorganizzazioni ma semplicemente ha ripreso il suo corso, business as usual, ignorando o minimizzando l’infezione fino a includere di nuovo, oltre a quelle categorie per le quali non c’è mai stato un lockdown – come operai, personale sanitario, e ora anche insegnanti – la totalità dei cittadini; non è stato un punto di non ritorno, una svolta, il presupposto di sviluppo di un nuovo organismo sulla crisalide morta del vecchio, ma piuttosto la coazione a ripetere dell’Apocalisse zombie, un divorarsi reciproco e insensato di walking dead nel conato irrefrenabile delle vecchie abitudini. Purtroppo sembrano aver conferma le parole di Michel Houellebecq (che una pagina di Bifo in parte cita e in parte contesta): “Alla fine tutto sarà lo stesso. Solo un po’ peggiore”. Insomma, per parafrasare Kurt Vonnegut che parafrasa Thomas Eliot: il mondo non finisce né con uno schianto, né con un lamento. Finisce con un peto.
William S. Burroughs e Philip K. Dick, secondo Bifo, delineano la distopia nella quale viviamo. Il nostro mondo è una trama che incrocia gli immaginari dei due autori: il virus linguistico e la kippleizzazione totale – la teologizzazione dell’entropia – sono il nostro destino manifesto e già in atto. “Si trattava di una società che da molti punti di vista era al limite del collasso: a quel punto giunge un agente bio semiotico che provoca, finalmente, il blocco, la paralisi, il silenzio. Non è forse così che iniziano i processi di mutazione ? […] Insomma non è forse a partire da eventi a-significanti che iniziano le trasformazioni profonde e irreversibili della società, cui la volontà non può opporsi, cui la politica non può opporsi, e di fronte alle quali il potere non ha armi?”.
Purtroppo l’unica mutazione visibile al momento è l’accettazione supina e definitiva da parte delle masse della necessità imposta da una crisi inarrestabile, la rassegnazione ad un permanente stato di emergenza e ai provvedimenti – pur se inefficaci, contraddittori e caotici – imposti dalle istituzioni: il rifugio nel presunto baluardo dell’ordine costituito – fase ulteriore del neghittoso e fatalistico “Andrà tutto bene” – ormai sopisce l’angoscia dell’abbandono, la consapevolezza di trovarsi soli di fronte alla prospettiva reale della malattia e della morte. “Se avremo paura, fin quando avremo paura di avvicinare la guancia alla guancia e le labbra alle labbra, temo che la barbarie prevarrà sulla civiltà, e temo che l’estinzione sarà il solo orizzonte del nostro futuro” – sostiene Bifo.
E, purtroppo, sembra che proprio la paura del contagio – per altro giustificata da numeri sempre più impressionanti – prevalga e che il “neocristianesimo a sfondo disattivistico e copulatorio” auspicato profeticamente da Luciano Bianciardi come alternativa all’incubo della società dei consumi ai suoi albori, e sostanzialmente condiviso dai suoi nipotini transitati per l’Autonomia come Bifo, sia ancora più remoto: la Lega Antisesso del 1984 di Orwell sembra invece tornata una prospettiva assai più concreta. E non si tratta solo della stigmatizzazione dell’eros – che, già prima della pandemia, poteva per gli individui non-alfa essere un obiettivo fuori portata nell’houellebecquiana estensione del dominio della lotta – ma anche di un semplice abbraccio tra amici, di una riunione conviviale, della condivisione dello stesso spinello o della stessa bottiglia, di ogni banale intimità fisica. Insomma, l’atomizzazione anonimizzante si compie, la monade leibniziana giunge alla sua annichilazione.
“Pensavo che se il movimento non fosse riuscito a rivitalizzare l’autonomia soggettiva, la solidarietà sociale e l’amicizia erotica, la final stampede sarebbe avvenuta…” – aggiunge Bifo in conclusione, dicendosi profeta fallimentare riguardo all’eccessivo ottimismo sulle tempistiche dell’evento. In effetti la final stampede è già cominciata e già precipita oltre, davanti ai nostri occhi. “Salvare la pelle, salvare il know how, salvare il buonumore e l’amicizia” – conclude, sperando che, mentre liberisti e fascisti si sterminano a vicenda, noi, gli altri, ci si ritiri – dove? In un bunker, un’Arca di Noè, il rifugio anti-atomico del Dottor Stranamore? – preparandoci a riemergere tra le macerie per ricostruire un nuovo mondo. Abbiamo letto troppa buona fantascienza per crederci davvero.