Capitale della provincia di Buenos Aires, La Plata è una città probabilmente relegata, almeno a livello simbolico, a un ruolo minore nella storia e nella geografia argentina. Allo stesso modo, anche una delle sue due squadre di calcio, il Club de Gimnasia y Esgrima la Plata, o Gimnasia, ha meno pedigree dell’altra, il Club de los Estudiantes de la Plata, o Estudiantes – vantando, ad esempio, un solo titolo argentino, nel lontano 1929, rispetto ai sei titoli, alle quattro coppe Libertadores e agli altri trofei dell’Estudiantes. Per non parlare poi del palmarès delle due squadre bonaerensi, le internazionalmente note Boca Juniors e Rivers Plate.
Questo, naturalmente, non vuol dire che non esista un’agguerrita tifoseria del Gimnasia, i cosiddetti triperos, e che attorno al loro microcosmo non si possa sviluppare una narrazione che individua come luogo d’elezione La Plata – e più precisamente il sobborgo popolare di El Palomar – e vi incardina una prospettiva decentrata rispetto ai grandi récits della capitale, di grande forza e interesse.
È proprio questa la scommessa dell’editore e scrittore Francisco Magallanes con El Palomar, uscito in originale nel 2021 e prontamente acquisito da Arcoiris: nella collana “Gli eccentrici”, in effetti, Magallanes va ad aggiungersi felicemente ad autori come il connazionale Ariel Luppino, l’uruguaiano Felipe Polleri o il messicano Mario Bellatín che Magallanes stesso ha dichiarato, in varie interviste, di considerare come punti di riferimento o comunque come autori a lui vicini. Se poi vi si aggiunge la brillante traduzione e introduzione di Raul Schenardi, ciò va a rafforzare ulteriormente anche la qualità progettuale di questa collana di letteratura sudamericana.
El Palomar, in particolare, vi contribuisce con quello che viene puntualmente anticipato nella quarta di copertina: “Non una bella storia sulla rivalsa sociale degli ultimi, tuttavia, né la svenevole fotografia di un barrio comunque maledetto: un’opera in cui a svettare sono piuttosto l’invenzione linguistica, l’incedere incalzante della prosa e l’innovazione letteraria”. Innovazione linguistica che si sviluppa soprattutto nella narrazione corale del quartiere che dà il titolo all’opera: oltre al mosaico polifonico dei personaggi e dei punti di vista, spicca soprattutto una scrittura in prosa che, a tratti, imita le convenzioni grafiche, e talvolta anche altri parametri, della scrittura poetica. Senza mai attingere a un armamentario epico, che ricadrebbe in quella retorica correttamente censurata dalla quarta di copertina, tale scelta ottiene comunque di conferire un certo prestigio e una certa letterarietà alle vicende di personaggi altrimenti iconicamente definiti come Lo Smilzo, il Maglietta, il Pisello, la Sbarbina con la frangetta.
Letterarietà che di certo si misura, in negativo, per la distanza (e, forse, il vuoto incolmabile) che resta tra alcune scelte formali e il mondo del fútbol, dell’economia sommersa e dei suoi lavori massacranti, della droga e del carcere che avvolge El Palomar e non concede alcuna via d’uscita, prospettando come soluzione solo il progetto di un crimine presentato come il “colpo della vita”.
Un amarissimo esempio di “letteratura working class”, dunque, dove i due elementi della definizione – “letteratura” e “working class” – entrano in un singolare conflitto, tanto formale (cioè inerente alle forme letterarie) quanto culturale e politico. Ancor di più: El Palomar è una narrazione delirante del delirio realissimo che pulsa sotto la superficie di quello un po’ più posticcio, ma diffuso a livello mediatico in ogni angolo del globo (e specialmente nella Napoli “gemellata” nel segno del pibe de oro), in seguito alla vittoria dell’Argentina ai Mondiali di calcio di Qatar del 2022. I pibes del Palomar sono senza oro e forse non lo vedranno mai, in vita loro, nemmeno se per ironia della sorte, il Gimnasia dovesse un giorno tornare a vincere il campionato argentino, dopo quasi un secolo.