Francesco Napoli / Dal Borgo a Genova e oltre

Francesco Napoli, Giorgio Caproni. Scrittore in versi, Edizioni Ares, pp. 136, euro 15,00 stampa, euro 10,99 stampa

Caproni dalla scrittura vasta, Caproni e la sua poetica di forti ascendenze territoriali, Caproni che ha fatto dei versi una molteplice lingua in grado di controllarne la natura selvaggia (sosteneva che la poesia fosse una “bestia”). Caproni irriducibile: questo ci restituisce il saggio di Francesco Napoli, che molto di più è, se ci addentriamo nei suoi capitoli attraverso il predominio dei sentimenti linguistici e amorosi del poeta verso luoghi e città che lo hanno visto nascere e vivere percorrendo luci e ombre, toscanità e ligusticità, macerie belliche (era nato nel 1912) e bellezze marchiate da angoli oscuri, quelle che fanno di una città posto elettivo inglobante amore imperituro. Dalla “poco toscana” Livorno a Genova per sempre, città dov’è difficile separare il bello dal brutto.

Napoli approfondisce le ragioni portanti di una poesia che fa proprio il carattere musicale dell’italiano, fra alti e bassi esistenziali e curvature degli anni, comprese le sterzate improvvise. La biografia interseca le migliori menti della generazione di Caproni, e di quelle limitrofe, con cui gli scambi d’esperienza ed epistolari richiamano l’apparire del vero e i discrimini esistenziali: dall’allegoria petrarchesca a Ungaretti, Betocchi, Gatto, e avvicinamenti anagrafici all’ermetismo senza mai convincersene. Leggere le pagine di Scrittore in versi significa ripercorrere una storia della poesia italiana attraverso la vita e le opere rilasciate in tutto un secolo, senza alcun dubbio straordinario sotto il profilo della realtà poetica. La poesia del nostro Novecento è stata capace di incidere nella lingua qualcosa che ha reso possibile un bel salto nel comune sentire.

Dopo la distruzione bellica di Genova nel 1945 si trasferisce a Roma, felice di insegnare ai ragazzi delle elementari. Ma la Roma mediorientale non cattura per sempre Caproni, non vi è mai entrato in dimestichezza anche se i rapporti sono proficui e le amicizie tenaci. L’anima torna spesso a quell’Ascensore di Castelletto che dall’alto domina i lustri tetti d’ardesia di Genova. Le trame liberty di quella struttura liberano lo sguardo sulle navi al largo del Golfo, davanti al porto disteso lì sotto. I saliscendi continui della città sono presenti in Le silence de Genova di André Frénaud, da lui tradotto nel 1967. Di Caproni traduttore scrive Luzi nel 1967, ponendo attenzione su un “amoroso affinamento del mestiere”, verificato vieppiù da Napoli quando ci ricorda che in certi anni il poeta cerca una risistemazione della propria poesia più che il rincorrere nuovi versi. Appaiono “solo e soltanto” traduzioni, molte e di particolare rilievo: da Blaise Cendrars a Jean Genet (con Rodolfo Wilcock). Ma occorre ricordare che nel 1951 uscì una “controversa” traduzione del Tempo ritrovato di Proust, commissionata da Natalia Ginsburg, e nel 1964 una difficile versione di Morte a credito, compiuta come “impulsivo atto d’amore” e aiutato – confesserà molti anni dopo su un settimanale – dall’amico Frénaud.

Un decisivo scarto nella sua poesia avviene con la pubblicazione de Il muro della terra, seguito dai successivi Il franco cacciatore, Il conte di Kevenhüller: il tema della morte viene affrontato, spiega Napoli, con la rievocazione di persone che non ci sono più, si attenua l’uso dell’ironia mentre si aggiunge un contrasto alla vita gelida attraverso il ricostitutivo asse padre-figlio. Le sceneggiature musicali si ampliano, tengono il passo sino alla finale interrogazione del bene perduto di Res Amissa, uscito postumo ma già lavorato in vita da Caproni. Nelle ultime pagine del saggio, Napoli (con mio favore e piacere personali) pone l’accento sull’evidente amore per il mondo naturale, avvicinandosi a un altro poeta ligure d’adozione come Giuseppe Conte. “Capire” Caproni passa anche attraverso il colloquio fra Napoli e Maurizio Cucchi riportato al termine del volume: due evoluzioni poetiche di differenti stagioni rivelano come la premura di certi padri fu a vantaggio per i giovani emergenti, nonostante asprezze di carattere che spesso non corrispondono al vero – vale per Caproni e vale per molti suoi coevi. Per Cucchi l’immediatezza del quotidiano, insieme alla complessità di un pensiero metafisico, fa di Caproni un grande maestro a cui essere grati.