Francesco Misiano fa parte di quella schiera di fondatori del Pcd’I nel 1921 di cui si è persa memoria, non senza complicità da parte del Pci togliattiano. Ma che in vita ottene tutti i crismi del comunista ante litteram: militante a dir poco esuberante, nomade inquieto, ma sempre mosso da cause politiche, internazionalista e combattente con armi in pugno, e pur anche disertore ostinato, fino a ritrovarsi protagonista del colpo di scena che lo vede addirittura eletto nel parlamento italiano.
Grazie a Luca Salsa, che lo ha recuperato e presentato, e grazie alla casa editrice Cronopio che lo ha pubblicato (con l’abituale e rara eleganza di formato, carta e caratteri) possiamo ora goderci la lettura della lunga e stupefacente arringa che Misiano tenne tra gli scranni di Montecitorio per difendersi dall’accusa di diserzione, causa poi del suo definitivo esilio. Dopo avere passato gli anni prima del ’15 ad attraversare in lungo e in largo l’Italia ovunque sostenendo lotte sociali e scioperi, dopo essere fuggito dalla caserma che nel ’16 lo stava per mandare al fronte, dopo avere conosciuto e frequentato Lenin tra gli esiliati socialisti a Zurigo, dopo aver partecipato nel ’18 alla rivolta spartachista a Berlino, il nostro eroe (è proprio il caso di chiamarlo così) finirà i suoi giorni a Mosca come produttore e distributore di film (tra i quali niente di meno che la fatidica Corazzata Potëmkin), mentre su di lui si stavano addensando i sospetti della burocrazia staliniana nonostante stesse anche richiedendo invano di essere inviato in Abissinia per sostenere la resistenza popolare alle feroci imprese coloniali del fascismo.
Quando si dice: “una vita che pare un romanzo!”. Proprio così: leggendo questo libretto ci si trova coinvolti in una vera e propria avventura intellettuale, ci si trova catapultati in un’atmosfera fatta di impegno, temerarietà, determinazione, fede certa in idee e passioni collettive oggi inimmaginabili. Basti solo ricordare che in faccia a tutti i parlamentari Misiano non esita a proferire per ben due volte “Io sono un vostro avversario”. Aggiungendo “Gli avversari non si perdonano” fino a giungere al massimo atto di sfida: “io voglio la fine del vostro regime”! Sempre ribadendo “io sono internazionalista”! Un termine vecchio e obsoleto, questo? Così parrebbe, vista l’aria sovranista che tira a destra e a sinistra in questi nostri tempi di guerra e di catastrofe globale incombente. Una brutta aria che fa sempre ricordare come pure nel Manifesto di Marx ed Engels si sostenga che al proletariato spetterebbe il compito di farsi nazione – senza mai o quasi tenere presente che a metà dell’Ottocento l’idea stessa che le nazioni potessero essere un’alternativa storica antagonista all’ancien régime degli imperi era ancora una novità rivoluzionaria.
Ecco allora che proprio qui sta uno dei meriti maggiori di questo libretto. Il merito di fare bene intendere la connessione necessaria tra diserzione e internazionalismo, per quanto sia complesso e arduo tenere fede a queste due prese di posizione. Ma ancora più interessante è il passaggio finale nel quale Salsa nella sua prefazione inquadra la figura di Misiano come protesa verso un ideale di “comunismo senza guerra”. Una formula concisa quanto efficace, che ci instrada verso uno dei problemi più complicati che hanno segnato il destino del comunismo. Il duplice problema, detto in poche parole, che la maggior parte delle rivoluzioni comuniste (come quella dell’ottobre del ’17) sono avvenute proprio all’interno di guerre in corso e che l’approccio militare, lungi dal rientrare a pace fatta, ha continuato a condizionare (come nella costruzione del socialismo sovietico) il prosieguo della stessa rivoluzione, arrivando fino a degenerazioni poliziesche e terroristiche. Ecco dunque fino dove può portare a ragionare sull’ideale di Misiano di un “comunismo senza guerra”.
Quanto la questione della guerra lo abbia tormentato è sintomaticamente rilevabile accostando due espressioni impiegate nel suo discorso: “mai più un’altra guerra!” e però poi sì alla “guerra di classe”. Nel 1920 questo dilemma non era evidentemente solo del nostro protagonista, ma coinvolgeva tutti i militanti socialisti. E sopratutto coloro che nel 1921 decisero come Misiano di dar vita al Pcd’I aderendo all’Internazionale comunista allora fautrice di una obbligatoria strategia insurrezionalista, cioè appunto di guerra civile. Fatti saputi e risaputi, certo. Ma sui quali non si riflette mai abbastanza, soprattutto se si ammette che tale prospettiva insurrezionalista contraddiceva alla radice la ragione principale dell’enorme successo riscosso dalla stessa Rivoluzione d’ottobre: il fatto di avere saputo staccare la spina con la Pace di Brest-Litovsk all’interminabile macello della Grande Guerra. Così, chiamare alle armi per scatenare una guerra civile, dopo solo due anni che con la fine della Grande guerra erano state finalmente abbandonate fu un errore che costò non poche tragedie ai vari neonati partiti comunisti. Mentre in Italia ad approfittarne furono niente meno che i fascisti.
Ecco dunque a quali altri tipi di riflessioni, quanto mai gravide di conseguenze, Il disertore stimola. Opportuno, da questo punto di vista, sarebbe allora non abbandonarsi alla tentazione cui può indurre la figura di Misiano quale viene fuori da questo prezioso libretto. Il fascino delle sue imprese, l’ardire del suo discorso, le scelte rocambolesche che punteggiano la sua bibliografia da disertore: tutti questi motivi, per così dire etici ed estetici, possono infatti indurre a inquadrare questa figura come esempio esistenziale di un modo di vivere individuale tanto affascinante, quanto inimitabile. Una tentazione ovviamente del tutto legittima e che esalta l’indubbia portata romanzesca de Il disertore, ma che forse rischia di distrarre dalla rilevanza che questo libro può avere sul piano dei bilanci ancora non conclusi riguardanti l’esperienza storica della militanza politica comunista.