La terra ha un colore, e in questo colore la materia si organizza secondo le leggi e la sua lingua fa nascere altre lingue, da coscienze di tutti i tipi, assecondando quanto la natura ha disposto sulla terra. Niente che sopravanzi quanto l’umana mente ha creato al fine di sciogliere idee e segreti, slegandosi dalla materia solida. Così nasce la poesia.
Figure pazienti creano testi di cui non saremo più capaci di fare a meno, e nomi dati alle cose che non si sottrarranno alle generazioni future. Categorie ben più forti degli organi umani sopravvivono ai decenni, ai secoli e poi ai millenni. Ma sono rari casi. E li conosciamo.
Avere a che fare col tempo, con l’auspicio di scioglierne grame sorti, e di aggiungere a esso anni di salute, seguendo le meditazioni di Wallace Stevens o Cristina Campo, fa parte dell’esistenza di Francesca Serragnoli: libro dopo libro, per le proprie strade e per la lingua imparata sotto casa, ben lontana da sinistri imperi, la narrazione della speranza sta ben dentro ogni verso, e ogni poesia testimonia tono e vocazione.
Ogni opera di Francesca conosce il ragionar d’amore, vi si appiglia fuori dalle mode e dalle scuole che girando a vuoto hanno finito per mischiare il pane ai virus, agli agenti che non infettano soltanto i polmoni ma la lingua. S’intuiscono palpebre chiuse per dare merito alla preghiera, e passi rapidi sulla cenere per giungere presto alla casa. Dimora della poesia, ma soltanto di quella che non è “entrata nella logica dell’utile”. Sono parole, appunti sparsi inseriti come viatico al termine del libretto: “occorre pestare la poesia come ha fatto Dante”, così come la vita per andare oltre. Ma, dopo esserci passati, chi solitamente è disposto a lasciare tutto in nome dell’arte? Pochi ammirevoli, probabilmente, ma meglio affermarlo che tacere. Meglio stare a ridosso di suoni e odori, e non sottrarsi alle possibilità di una lingua.
La quasi notte è un “giro nel sangue” dentro i corpi che incontriamo, leggermente ancora vivi, e leggermente ansiosi di riconoscere la propria città, in questo caso Bologna, ma altre sono pronte ai nostri passi. Perché sono le città a contenere i marmi e le avventure di coloro che si alleano ogni giorno alla scrittura, e soprattutto alla lettura. E a proteggere la bellezza di donne sinuose e di rose che non evaporano prima d’essere donate.
Nella Quasi notte ogni poesia conduce a passi e occhi attenti, fino alla partenza che l’Eurostar fa sobbalzare. E ci si sorprende, pagina dopo pagina, di quanti occhi danno il cambio ad altri occhi perché lo sguardo non si spenga. Elegia e racconto fanno in modo che nessuno abbandoni definitivamente luoghi e persone, che le figure non si disfino sotto gli ombrelli. Un’orazione determinata a affrontare guai vecchi e recenti, nuovi strati di vesti raccolte per strada e propensione a dare, come sempre, risposte alle proprie (e di tutti) paure. Nessuna soggezione della notte, questo si impara leggendo il libro e accompagnando a esso i nostri giorni incatenati. Potrebbe presentarsi qui il primo passo verso quell’epica nuova che Francesca Serragnoli vagheggia nel continuo movimento della poesia.