A essere presi in esame dal saggio Salvatrici del mondo di Francesca Fiorentin e Paolo Lago sono i personaggi femminili di diversi romanzi italiani contemporanei di genere fantascientifico (con qualche incursione nel cinema), indipendentemente dal fatto che questi derivino dalla fantasia di uomini o donne; in questo studio la discriminante di genere riguarda pertanto i personaggi e non l’autorialità. Autore e autrice hanno scelto di darsi come terminus post quem il 2010, dunque di focalizzarsi sulla fantascienza nelle narrazioni iper-contemporanee in cui si intrecciano frequentemente questioni che hanno a che fare con il post e transumanesimo, l’ecocritica, la collassologia e, nello specifico italiano indagato, l’ecologia, il corpo femminile, la disgregazione nazionale e il potere esercitato attraverso le tecnologie.
Fiorentin e Lago concentrano la loro attenzione soprattutto sull’ecocritica al femminile, evidenziando come le protagoniste delle opere esaminate manifestino un forte legame con la natura e con le sue dinamiche. Mostrando una statura morale, una sensibilità e una consapevolezza in buona parte sconosciute ai personaggi maschili, le figure femminili che si incontrano in queste narrazioni, anziché limitarsi a tentare di sopravvivere negli scenari distopici e disumanizzati devastati dall’inquinamento, dalle malattie e dal cambiamento climatico, oppongono resistenza, si ribellano ponendosi come “portatrici di una possibilità di rinascita”, dunque incarnando il ruolo di “salvatrici o dell’intera umanità o di altri personaggi”. Le protagoniste esaminate dagli autori sono personaggi complessi e contraddittori, decisamente poco inclini a lasciarsi incasellare in ruoli predefiniti, sono delle combattenti che conducono la loro lotta in quanto donne, senza assumere tratti maschili. Salvatrici del mondo testimonia la capacità della fantascienza italiana più recente “di analizzare i conflitti della società contemporanea per mezzo di una nuova ricchezza di punti di vista”. La mappatura prevede una suddivisione dei personaggi femminili in tre macro categorie: “sognatrici e visionarie”, “migranti e immigrate” e “nomadi e viaggiatrici”.
Al primo gruppo appartengono donne che, sognando un’alternativa agli universi distopici in cui si trovano a vivere, “lottano e portano avanti il loro ideale di società in simbiosi con la natura che, in molte di queste narrazioni, è stata ormai irrimediabilmente devastata”. Personaggi di tale tipo sono: in Bambini bonsai (2010) di Paolo Zanotti la piccola Petronella, “una magica fata, appartenente a un mondo fantastico e visionario”, le cui “capacità di sognare e di guardare ‘oltre’” permettono a un gruppo di bambini, da lei guidato, di attraversare una città devastata dall’inquinamento e dal cambiamento climatico fino a giungere al cospetto di Sofia, l’unico essere umano ancora in grado di ricordare e condividere il ricordo del mondo prima della devastazione; in 2119. La disfatta dei sapiens (2021) di Sabina Guzzanti l’attivista Tess, una sognatrice e visionaria che si propone di salvare le sorti umane grazie alla sua capacità di creare un rapporto simbiotico con il mondo animale e vegetale; in Avrai i miei occhi (2020) di Nicoletta Vallorani la tassista sognatrice Olivia, cyborg capace di muoversi senza sosta in una metropoli “devastata da un Potere che si fa ovunque sopraffazione” che si adopera per salvare donne imprigionate e sfruttate sessualmente; in Noi siamo campo di battaglia (2022), sempre di Nicoletta Vallorani, “la prof”, un’abile affabulatrice e creatrice di storie, una sognatrice in grado di condividere con altri la propria dimensione di sogno e di resistenza che guida i giovani appartenenti a una comune nella loro trasformazione in piante.
Alle “visionarie combattenti” appartengono diverse donne segnate dallo stigma della diversità, come: in Proletkult (2018) di Wu Ming l’aliena Denni, dallo sguardo “altro”, non antropocentrico sulla realtà con cui viene a contatto; nel film Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) di Gabriele Mainetti la giovane Alessia, dallo sguardo magico e incantato sulla realtà che, per quanto derivato dall’immaginario televisivo, rappresenta una possibile resistenza alla brutalità del mondo reale; nel film Tito e gli alieni (2018) di Paola Randi l’eccentrica Stella, che ha deciso di isolarsi in una natura ostile e selvaggia.
Alle “migranti e immigrate” appartengono: in Miden (2018) di Veronica Raimo “la compagna”, personaggio che resiste all’omologazione “facendosi nomade del pensiero” e capace di mantenersi caparbiamente “straniera” alla società delle regole e dei rituali che vorrebbe assorbirla; in L’isola delle madri (2020) di Maria Rosa Cutrufelli, romanzo distopico di climate-fiction sfuggente al genere fantascientifico vero e proprio, la migrante Mariama, che può salvare il mondo in cui dilaga l’infertilità tramite il suo divenire madre; nel film Go Home – A casa loro (2018) di Luna Gualano la migrante Sarah, che si prodiga con umanità per arginare la zombificazione in atto; in La Sublime Costruzione (2021) di Gianluca Di Dio la giovane nomade e ibrida Mitzi, insieme a una donna più anziana incontrata nel suo percorso migrante; in Qualcosa là fuori (2016) di Bruno Arpaia “le guide”, giovani combattenti armate, amazzoni che accompagnano e si prendono cura di migranti nel loro viaggio dettato dai cambiamenti climatici, insieme alla migrante Marta, personaggio ctonio che vive in stretta simbiosi con la natura.
Se le migranti hanno una loro meta, più o meno utopistica, da raggiungere, le “nomadi e viaggiatrici” “sono inserite all’interno di un movimento continuo che le ferisce e le segna nel profondo”, perché, come sostiene la filosofa Rosi Braidotti, a cui Fiorentin e Lago fanno più volte riferimento nella loro disamina, lo stato di nomadismo comporta “abitare una diversità incarnata e in movimento. A tale macro categoria appartengono: nel romanzo Anna (2015) e nell’omonima serie televisiva (2021) di Niccolò Ammaniti l’errante protagonista Anna, che si muove in uno scenario distopico post-apocalittico e che vorrebbe “far rinascere il mondo”; in Quando nascesti tu, stella lucente (2017) di Nadia Tarantini la giovane Marcela, una “nomade del pensiero”, ancora capace di ricordi, che si ribella alla “vita artificiale” a cui sono costretti gli esseri umani; nel racconto La fiaba di Miriam, “ultimo atto” della raccolta Quando qui sarà tornato il mare (2020) del collettivo di scrittura Moira Dal Sito il personaggio nomadico Miriam, “detentore di una capacità immaginativa e resistente che va al di là degli orizzonti ristretti in cui si è costretti a vivere in un’Italia del futuro devastata da inondazioni e dal surriscaldamento globale”; in La festa nera (2018) di Violetta Bellocchio la narratrice nomadica Ali, “testimone di un universo di devastazione politica e sociale, scenario di un disastro che ha inglobato e annientato ogni simulacro di civiltà”.
La citazione posta in esergo del libro delinea alla perfezione i personaggi femminili che abitano le narrazioni fantascientifiche italiane ipercontemporanee indagate da Fiorentin e Lago: “Il nostro compito deve essere fare disordine e creare problemi, scatenare una risposta potente dinanzi a eventi devastanti, ma anche placare le acque tormentate e ricostruire luoghi di quiete”: Donna Haraway, Chtulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto.