Niente è più lontano dalle fantasie come lo “spirito” che seguitiamo a vedere illuminato nei nostri pensieri, laddove qualcosa di nuovo e clamoroso giunge nelle nostre stanze quando invitato con riguardo ma anche con ferma insistenza. Non pensiate a spiriti dotati di “non essere”, ma tutto il contrario: custodi di corpi il cui stare dentro la realtà esprime il suo massimo valore concependo invenzioni, meccaniche, libri, arti, valori e viaggi al termine del mondo. Gli spiriti a cui guarda Francesca d’Aloja, in questa raccolta imprevedibile e fatale di vite, sono veri corpi, ricchi d’esistenza, caparbi e avventurosi. Persone non da citare ma da raccontare, esigenti e sempre immersi in una passione che è condanna, destino, complicità e dissenso.
Dagli alberi cadono i doni degli spiriti liberi, scriveva Nietzsche, resta il fatto che occorra frequentare zone boscose, avventurarsi dove ci sono stati esperimenti cruciali dagli effetti ancora presenti, visibili e udibili per chi ha giusti sensi. D’Aloja ha per sommo bene indossare menti e vesti d’altri nei suoi lavori per il cinema, e soprattutto nella sua preponderante (negli ultimi anni) qualità di scrittrice. Per questo possiamo avventurarci nei suoi racconti d’esistenze, sicuri di trovare gran parte di quanto sogna e produce l’ingegno umano nel corso del tempo, andando su e giù nei decenni dei secoli appena trascorsi. Che di spiriti lieti e ustionati, liberi o succubi di regole imposte, hanno vissuto in vastissimi spazi dove mito, abilità tecnica, immaginazione hanno coabitato in singolarità corporali e mentalità straordinarie.
Francesca è consapevole d’aver “sbagliato epoca” nella personale e continua ricerca di persone scomparse da molto tempo, lo confessa nelle parti di questo libro dove affabilità e fabulazione si fondono nel miglior gesto d’intenti e dove il primario presentimento di racconto si traduce nella perfetta pagina di vita: sarà pur miracoloso che ci si trovi di fronte a un reportage depurato da intenti giornalistici perché infine ne emerga, filtrata, l’essenza di persone a cui mai è bastata l’intenzione senza che questa producesse opere ben visibili e capaci d’influenzare geografie e periodi eterogenei.
E allora chi troviamo nella raccolta degli incontri, reali e immaginari, degli sfioramenti voluti per vero amore e ammirazione, dove la grazia annuncia il vero intento della scrittrice viaggiante per tempi e luoghi? Rembrandt Bugatti, scultore appartenente a una famiglia inventrice di mobili e auto fantasmagorici, autore di un giardino zoologico in bronzo ahimè quasi del tutto cancellato dalla prima grande guerra. La storia si ricorderà, invece, della Bugatti Royale, il veicolo più lussuoso di tutti i tempi e dal peso e costo fuori portata. Non si resiste, poi, alla comparsa “elettrica”, fin dalla nascita, di Nikola Tesla, un destino scandito e scortato dai lampi di luce. Tesla, inventore della corrente alternata, precursore delle trasmissioni d’energia – più volte ingannato da chi aveva pochi scrupoli (uno per tutti, Edison) – sosteneva la gratuità dell’energia ma dopo centinaia di brevetti di cui ancora oggi utilizziamo le tecnologie derivanti (cellulari, wi-fi, radiografie) dissolse il proprio equilibrio psichico fino alla morte. L’uomo indefinibile che aveva presagito il World Wide Web (“saremo in grado di comunicare l’uno con l’altro in modo istantaneo, indipendentemente dalla distanza”) e che molti di noi hanno visto interpretato da David Bowie nel visionario film The Prestige di C. Nolan.
E si prosegue con la seduzione dovuta a Haroun Tazieff, non un vulcanologo ma devoto ai comandi eruttivi dove i crateri “di fuoco” espellono la materia profonda e viva della Terra, il magma da studiare a rischio della vita, tanto da inimicargli l’intera comunità scientifica. Ma agli spiriti, d’Aloja lo sa bene, interessano i segreti del mondo, ai limiti del consentito, null’altro. Tutto ciò che racchiude nel proprio scrigno mentale Robert Louis Stevenson, lungo la quantità di pagine scritte e miglia percorse. Affascinato dall’ineffabile Fanny Osbourne, americana contro tutti, ispirato dalle “grandi storie” e però abbattuto a quarantaquattro anni in una scena domestica per eccellenza: l’aiuto a Fanny nella preparazione della maionese. Irresistibili, per l’autrice di Spiriti, e per noi che la seguiamo, le fotografie di R.L.S. sull’isola di Samoa, ben lontane dalle convenzioni ottocentesche. Porgiamo l’orecchio al “Tesoro”.
Altri spiriti viaggianti: Romain Gary (Kacew), Emile Ajar, nel labirinto esistenziale e letterario insieme a Jean Seberg (suicidio compreso), gran quantità di libri e pellicole che hanno determinato un’epoca e le strade europee della Nouvelle Vague, Melina Merkouri e Jean-Paul Belmondo in una nuvola sopra Parigi ambiziosa d’ospitare tutti insieme Truffaut e Warhol, Godard e Tina Aumont e Nico, ma molto meno il Preminger “ebreo nazista” di Santa Giovanna. Richard Yates, scrittore dall’impervia personalità alcolica, numerose opere di limitata tiratura, ghost writer per Robert Kennedy ma soprattutto vita spesa a scrivere, bere e fumare, non risarcibile da innamorati, categoria alla quale si sente d’appartenere d’Aloja. Mark Hollis, musicista fondatore della band Talk Talk evaporato dopo l’iniziale grande successo e il successivo abbandono della commercialità e il prevedibile ostracismo della major discografica. La partitura di Spirit of Eden è considerata invendibile. L’allarmata domanda dell’autrice non lascia dubbi: “Dove sei, Mark Hollis?” Per molti anni non si è saputo più nulla, tranne la sottrazione sempre più ampia in un paio di dischi compreso l’ultimo che conclude la parabola. “Pura astrazione”. Mimi Baez, sorella bellissima (“ricorda Daria Halprin, la protagonista di Zabriskie Point”) e quasi sconosciuta di Joan, dall’avvincente storia sparsa fra Dylan, Festival di Newport e il marito Richard Fariña, intimo amico del misterioso Pynchon. Chet Baker sorpreso in uno scatto, mentre suona la tromba nel giardino della villa di famiglia d’Aloja a Sabaudia. Murnau cabalista d’oscuri risvolti a cui fu trafugata la testa decapitando il corpo imbalsamato. Camille Claudelle, scultrice di opere ispirate ma tiranneggiata in vita e arte da un Rodin cerebrale e speculatore e morta in clausura forzata dopo due guerre. Lou Salomé mai intimidita dalla disciplina psicanalitica di Freud e tanto meno dalle relazioni con Nietzsche, Rilke e Rée. Il misterioso Silvio D’Arzo, così preciso e “illuminato” nella sua scrittura allucinata, al secolo Ezio Comparoni teso a scomparire nell’irrealtà pur perseverando come spirito nell’esperienza di scrittori come Bertolucci, Montale, Citati, Tondelli, ma privo di eredi.
Spiriti si avventura nel mondo (mondi, per la verità) di coloro che sono stati vivi, evitando riduzioni ma incoraggiando antiche energie a riparlare di esistenze a cui l’autrice, e noi con lei, rivolge attenzioni sentimentali e la creazione di uno spazio fisico dove mettere i dettagli. Sembra che le persone abbiano ancora voglia di rispondere, parlando dai luoghi dove sono stati e che sono ancora lì, spesso mutati (forse in peggio, ma questa è un’altra storia) e frequentati da gente del tutto diversa. Una tessitura di voci, accompagnate da immagini rivelatrici, allacciate in comunità da chi oggi possiede una fedeltà concreta. Lontana dal chiacchierio, una prosa da toccare.