Elio Pagliarani, Tutte le poesie 1946-2011 (a cura di Andrea Cortellessa), Il Saggiatore, pp. 537, euro 40,00 stampa
Entrare nella storia poetica (e geografica) di Elio Pagliarani passa per un’acquisizione di responsabilità verso tutta la poesia, dagli anni Cinquanta almeno fino al termine del ’900. Un’avventura costante, anche per chi a un certo punto si trovò fra le mani i libri della collana di poesia Feltrinelli (curata da Antonio Porta) i cui formati variavano di volta in volta, assecondando la “forma” della poesia in essi contenuta. Scheiwiller d’altronde, negli stessi anni, fra un Pound e l’altro compiva operazioni analoghe. L’estensione tipografica dei versi di Pagliarani metteva a dura prova gli addetti alla composizione, facendo esplodere l’inventiva dei nostri editori, allineati su uno stile di design emergente in ogni settore. Nella primavera del 1954 Arturo Schwarz, studioso e cultore d’arte, storico dell’avanguardia, poeta, pubblica a Milano il libretto d’esordio di Elio, intitolato Cronache e altre poesie: il futuro si stava preparando. Oggi occorrerebbe osservare il catalogo delle sue edizioni (Luzi, Merini, Parronchi, Betocchi, Ungaretti…), si avrebbero numerose sorprese riguardo alla crescita della poesia in Italia dal dopoguerra in poi. Non che mancassero voci contrarie in proposito, come quelle di Pasolini e Sereni, ma l’epoca era colma di pensieri energici, forti individualità, sguardi e controsguardi d’irripetibile fermento. Lo testimonia la molteplice bibliografia.
Pagliarani arriva da Viserba Rimini, da ben altri rilievi topografici, ma il realismo caratteriale e intellettuale è una spinta che pone basi fortissime nello spirito del tempo. Egli diventa così “parte di una parte necessaria”, come si legge nel risvolto di quel primo libro. Schwarz aveva capito tutto, era dentro le generazioni. Sono gli anni in cui molte cose accadono, e le menti vengono influenzate dalla relatività einsteniana, dall’atomica, dalla guerra fredda e dal consumismo, perfino nell’Italia della “500” raffreddata ad aria (ma anche della più familiare “600” e della ricca “1100”) i cittadini milanesi (e genovesi, posso deporlo) si esaltano per le scale mobili della Rinascente e i neon colorati con la scritta “Gancia” a lettere cubitali. Gli scrittori e i poeti migrano dalle coste liguri e romagnole verso Milano, Roma (qualcuno va a Firenze), sbarcano il lunario in trattorie a buon mercato e buon cibo, litigano, ridono, vanno a donne (qualcuno timidamente a uomini), s’innamorano e scrivono capolavori. I nomi sono noti, è tutta un’umanità intima e fisiologicamente attratta da sé stessa e dall’industria (meccanica ed editoriale), la lingua certe volte esplode e alcune altre lotta con la tradizione e il nuovo che avanza. Dentro a questo vitaminico bailamme Pagliarani agisce e reagisce, interroga la contemporaneità e in qualche modo la scrive, ritrovandosi in mezzo all’avventura dei Novissimi, scrittori plurimi e tutt’altro che simili fra loro.
La curatissima introduzione di Cortellessa all’integrale corpus poetico di Pagliarani è uno strumento impagabile per assicurarsi la conoscenza di una vita interamente dedicata alla scrittura, con tutto il corollario di definizioni e contrasti all’interno (e all’esterno) della Neoavanguardia. Attraversare i suoi poemi narrativi, da La ragazza Carla a Lezione di fisica e Ballata di Rudi, significa ritrovarsi dentro a qualcosa che scalcia, che non si lascia sommergere dal conformismo mutevole dell’epoca, e che rappresenta la “resistenza” di un uomo che di certo non le mandava a dire, a sodali e nemici, a segretarie e teatranti, a donne e souvenirs di varia natura. Ma la storia interiore ed esteriore s’intreccia senza fine, la si legge nei versi e nei memoriali (a cui si aggiunge il recente libretto Margutta 70 di Cetta Petrollo, moglie di Pagliarani) scritti dallo stesso Elio: uno per tutti il libro autobiografico Pro-memoria a Lia Rosa pubblicato nel 2011, l’anno precedente la sua scomparsa.
Accade poco prima della grande narrazione, intima ed epica, della Ragazza Carla, che oggi si possa rileggere il portento di Inventario privato (pubblicato da Veronelli a Milano nel 1959), in cui un Pagliarani insolitamente lirico si afferma nel paesaggio urbano, moderno, dove l’amore trova spazio nei cortili e negli androni, nei ritagli di tempo fra una vita d’ufficio e l’altra. Al poeta sono necessari i giorni, annunciatisi prepotenti, e le azioni che gli consentano di sopravanzarli nelle prove successive. Pagliarani passò dal film autarchico, personale, al set cinematografico tipico degli anni Sessanta, dove carrelli, dolly e montaggio trovano i loro maestri in Antonioni e Godard, dove la strada non si presenta come è ma come viene ricostruita “materialmente” dal cineasta e dallo scrittore. Senza dimenticare che Pagliarani non lasciò mai l’amato mestiere di critico teatrale i cui giudizi “ad alta voce”, in sala durante le rappresentazioni, fanno parte della storia e dell’aneddotica di merito. Si ha a che fare con partiture dove le immagini sono montate e rimontate, i dialoghi e i motti di spirito si susseguono fra lavori di montaggio tipici della celluloide e cut up che nemmeno gli americani si sognavano.
Rileggendo ci accorgiamo come in Pagliarani, ancora oggi si possano cogliere lunghi momenti aperti al futuro: motivi, desideri e amori garantiti da molteplicità di idee, coerenze provate e mai scontate, elenchi vitali messi in carico alla materia verbale. Non l’attesa di qualcosa d’indistinto ma una salda lezione civile continuamente messa alla prova. Gli strumenti c’erano tutti (in lui e in molti compagni di strada, Balestrini per esempio), chissà perché la poesia, in seguito, sembra avere smarrito la ricerca di forme inattese. Ma semplificare non è mai un buon segno. Qualcuno vorrà un giorno, anche approdando a questa summa poetica, riaprire i risultati raggiunti.
Le fitte pagine del volume contengono inoltre una serie di note esplicative, molte poesie disperse, interventi, introduzioni originali (scritte dallo stesso Pagliarani) alle prime edizioni di alcune opere, e un’attenta bibliografia curata da Giuseppe Andrea Liberti. Uno sforzo editoriale da parte degli autori e del Saggiatore che oggi decide compiutamente il posto di una delle voci più profonde nel complesso insieme della poesia italiana.
La foto di Elio Pagliarani è di Dino Ignani che ringraziamo per la collaborazione