Un intero continente e la sua storia filosofica millenaria è conosciuto dal grande pubblico attraverso alcune pubblicazioni poco attendibili o che sono cadute in errori di impostazione difficili da rimuovere. La conoscenza del pensiero indiano, per quanto riguarda l’Italia, è appannaggio di pochissimi addetti ai lavori.
Certo, abbiamo avuto Giuseppe Tucci, un vero e proprio pioniere di questi studi in Italia. Tucci ci ha lasciato, tra le altre cose, una Storia della filosofia indiana (Laterza, 1957) che ancora oggi è valida, chiara e di ampio respiro. Ma è chiaro che necessiterebbe un aggiornamento ai più recenti studi, dato che ha ormai più di sessant’anni. Successivamente sono uscite alcune opere, spesso non tradotte in italiano (ma anche opere come La filosofia indiana di Giuseppina Scalabrino Borsani pubblicata nel 1976 da Vallardi), che hanno approfondito lo studio della filosofia indiana fino ad arrivare al testo di Raffaele Torella Il pensiero dell’India. Un’introduzione, uscito nel 2008 per Carocci, il compendio oggi più aggiornato e preciso sull’argomento.
Filosofie dell’India. Un’antologia di testi è un passo ulteriore e importante per l’impostazione di uno studio approfondito e serio di un pensiero assolutamente straordinario e di eccezionale potenza.
L’errore più grande in cui è caduto chi si è occupato del pensiero indiano prima di Tucci, è stato di subordinarlo alla dimensione religiosa, creando confusione da un lato e dall’altro togliendo luce al contributo di altissima intensità che il pensiero indiano ha offerto alla storia della filosofia. È molto probabile che in questa tendenza abbia pesato la posizione di Hegel, per il quale l’inizio della filosofia fosse da ritrovare unicamente presso i Greci. Hegel, come Husserl un secolo dopo, videro nella filosofia indiana un ibrido ancora mescolato alla religione. Secondo Sferra invece “la filosofia indiana ha affrontato questioni relative ai più vari ambiti filosofici con una profondità e una precisione di analisi rimaste a volte ineguagliate”.
La situazione sulla conoscenza italiana delle opere filosofiche indiane è evidente dal fatto che dei dodici testi, solo due godevano di una traduzione integrale. Se ciò da un lato ribadisce la lunga strada che lo studio di questo pensiero deve ancora percorrere, dall’altro sottolinea la grande importanza di questo libro. Francesco Sferra, tra i più apprezzati indologi italiani, allievo di Raniero Gnoli, ha realizzato, con i suoi collaboratori, un’antologia fondamentale per lo studio della filosofia indiana e che si aggiunge come appendice indispensabile ai libri di Tucci e Torella.
Il volume raccoglie dodici testi che vanno dal I secolo fino al XVI secolo dopo Cristo raggruppati in tre aree: ontologia e teoria della conoscenza, filosofia del linguaggio, etica ed estetica. È da tenere presente però che si tratta di testi integrati del commento di filosofi successivi.
Si va dai Vaiśeṣikasūtra di Kaṇāda (“Gli aforismi Vaiśeṣika”) a cura di Francesco Sferra alla Tarkabhāṣā (“Manuale di logica”) di Keśavamiśra a cura di Gianni Pellegrini e Francesco Sferra, dalle Sāṅkhyakārikā di Īśvarakṛṣṇa con il commento di Gauḍapadā a cura di Corrado Pensa al Pūrvamīmāṃsāsūtra di Jaimini con il commento di Śabara a cura di Florinda De Simini, dalla Pramāṇāntarabhāvaparīkṣā (“Disamina dell’esistenza di altri mezzi di conoscenza”) di Śāntarakṣita con il commento di Kamalaśīla a cura di Francesco Sferra alla Śabdabrahmaparīkṣā (“Disamina del Brahman-Parola”) di Śāntarakṣita con il commento di Kamalaśīla cura di Paolo Giunta, dalle Nādakārikā (“Le strofe sul Suono”) di Rāmakaṇtha con il commento di Agoraśiva a cura di Francesco Sferra al Vedārtasaṅgraha (“Compendio del significato dei Veda”) di Rāmānuja a cura di Florinda De Simini, dal Bhagavadgītābhāṣya di Śaṅkara a cura di Saverio Marchignoli alla Yuktidīpikā ad Sāṅkhyakārikā (“Illustrazione del ragionamento”) a cura di Saverio Marchignoli, dal Brahmasūtrabhāṣya (“Aforismi sull’Assoluto”) di Śaṅkara a cura di Gianni Pellegrini al Bhaktirasāmṛtasindhu di Rūpa Gosvāmin a cura di Saverio Marchignoli.
Chi leggerà il volume scoprirà come il pensiero indiano sia riuscito a indagare i problemi filosofici con ampiezza, profondità e precisione paragonabili a quello occidentale, segnalandosi per una fortissima modernità. L’India non si è chiesta ostinatamente “cosa” fossero le cose, bensì ha indagato il “come”. Ma oltre a questa impostazione fondamentale è anche nei risultati ottenuti negli ambiti specifici che si possono rilevare passi sorprendenti. Penso, per esempio, alla logica e alla filosofia del linguaggio, l’ontologia e l’epistemologia, l’etica, l’estetica e l’onirocritica. Quest’ultima, l’analisi filosofica del sogno, come ricorda giustamente Giuliano Boccali su Il Sole 24 ore, individua come solo in esso sia possibile scorgere la svayamprakāśatva (“autoluminosità”) del Sé profondo (ātman). Credo che possa bastare questo esempio per suggerire la preziosità, l’importanza e la varietà della filosofia indiana, ottimamente antologizzata, introdotta e commentata in questo volume.