Il romanzo di Filippo D’Angelo è una cartina geografica umana – attraverso i pernottamenti e i vagabondaggi di due fratelli, più o meno dettati dalla ragione se non maggiormente da uno spaesamento esistenziale, ci si addentra in un pianeta da un lato moderno, dall’altro alienante. Lungi dall’essere il classico racconto fraterno, Filippo D’Angelo – scrittore e traduttore – scatta la fotografia di due uomini, Maurizio ed Emanuele, che si trovano a condividere lo stesso sangue senza capire granché di quel legame. Sembrano distanziarsi giorno dopo giorno – Maurizio torna a Milano, Emanuele vola in Africa – seguendo rotte differenti ma ugualmente estranianti: il destino degli espatriati. Pervasi da un’euforia nuova ogniqualvolta i loro piedi calpestano un terreno non ancora toccato da quella consuetudine che l’ambiente evoca con caparbietà, Maurizio ed Emanuele creano una geografia esistenziale tutta loro, una cartina in cui segnare i luoghi soffocanti, i luoghi vivi, i luoghi in cui non si può tornare. Si crea un gioco geografico per cui spostarsi significa respirare aria non inquinata dalle crisi dell’esistenza – scappare da incombenze lavorative e famigliari, scappare da ricatti e scelte sbagliate. Ma con quale destinazione finale?
Un comun denominatore in quel legame fraterno esiste, in fondo: un senso di irrequietezza associato a un sentimento di impotenza di fronte ai bivi decisionali, a cui lasciano decidere il corso degli eventi, incapaci di reagire. Un senso di immobilità verso la complessità contemporanea che mette in perenne discussione le loro scelte – scelte in quanto padri, in quanto figli, in quanto mariti e amanti, in quanto parte integrante degli eventi umani. Emanuele arriva nella Repubblica Centrafricana come operatore umanitario, finendo invischiato in indagini di abusi per mano delle forze francesi e ricatti a cui soccombe trattando con forze politiche più grandi di lui, quando non con le sue stesse scelte. Maurizio, espatriato a Parigi, torna a Milano controvoglia, seguendo schemi urbanistici e architettonici che lo porteranno ai quattro angoli della terra, seguendo il richiamo dell’essere altrove, sempre più lontano da sé stesso.
Disancorati dalle proprie esistenze – come scrive D’Angelo – a Emanuele e Maurizio le città e i luoghi sul loro cammino appaiono come oasi in cui perdersi, un limbo dove spogliarsi delle proprie responsabilità. Mostrandosi più vive dei viventi, le città si modulano nel tempo al passaggio degli uomini – uno sfondo alla complessità umana contemporanea: ambizioni lavorative, vita privata, amicizie, lotte coniugali, insoddisfazione generazionale, ingiustizie coloniali. Uno stile di scrittura esperto e un vocabolario estremamente variopinto rendono D’Angelo uno scrittore capace di leggere il nostro tempo.