Esistere con il padre, resistere senza, concerne la reattività di ogni singolo individuo: se poeta, può avere la perizia di rilanciare l’esistenza singola e familiare. La lingua scelta, o quella che ci è data, aiuta a sistemare gli immiserimenti che seguono la perdita, o a trovare in essi le forze propulsive capaci di riprenderà la verità. La lingua di Tommaso Giartosio giunge da un Novecento affrontato e compreso dagli intelletti che lo hanno attraversato. Non necessariamente frequentatori di poesia. Ma tutti abitanti la storia, dalla bomba atomica al crollo del muro di Berlino. Eventi che hanno fatto risaltare le ombre sugli schermi bianchissimi e terrificanti della realtà. Sempre di segni si tratta, d’ogni tipo e origine, umana, animale, vegetale e fors’anche celeste. Come uscirne, cercando di mantenere illesa la psiche e pressoché intatto il corpo? Ci sono libri di poesie che hanno risposto a questa domanda, soprattutto in un passato abbastanza recente. Ora tocca a Come sarei felicedefinire la propria percezione del mondo, mentre questo respinge sempre di più la parola vera, la parola che chiarisce contorni e ritaglia montalianamente figure d’esperienza non rimossa.
La biografia sa come produrre misure e dismisure, facendole emergere dal grumo di tempo che accoglie ogni vita umana. Occorre discrezione perché la parola non si vendichi della vita, e trasformi tutto in qualcosa di apocrifo, di sperimentatorio. La carta genealogica messa in campo da Giartosio vive di molti gesti, e di una smisurata fede nel fenomeno genuinamente umano chiamato poesia. Molte strade affrontate, e metriche differenti per il colloquio totale con la figura paterna, sfuggita un giorno ai meccanismi del creato. Lo sguardo non può che essere soggettivo, altrimenti l’autore “avrebbe scritto altro”, come giudiziosamente annota. Il paesaggio contiene memoria, è abitato all’interno del libro forse in misura ancora maggiore di quando tutti erano in vita. La riservatezza non implica ovvi pudori, l’abnegazione rivolta alla scrittura è per Giartosio la strada verso lanascita della poesia e la poesia stessa.
Per questo lo sguardo passa dal padre al mondo “bellicoso” e alla strada, come se il tempo andasse fuori scala e la natura presentasse un conto di sangue. Resistere e vedere sono la stessa cosa per il poeta che cerca le risposte ovunque, nelle pagine dei maestri e nei propri taccuini, nel testamento paterno sfogliato ogni giorno, e pezzo per pezzo consumato secondo le disposizioni. I reperti sono tutti utilizzabili, vengono mostrati pagina dopo pagina, fino al fuoco centrale del poemetto chiamato La stellina e che riporta la biografia a un dramma pop con varie sfrangiature di commedia girata in Super 8. Licenze metriche nell’ambito di una poetica che può ricordare certe pagine sontuose e solenni di Emilio Villa, tanto virtualmente apprezzato quanto ahimè dimenticato (prima di conoscerlo) dalle ultime generazioni. La stravaganza, o quella che si crede tale, non paga, secondo i frequentatori ossessivi della Rete. Villa onnivoro, e in qualche modo pure Giartosio, quando la sua continua immaginazione si mescola all’epica dell’esistenza.
In Come sarei felice, forse, si riscrive tutto. È questo il senso che gli stili pretendono dai ricordi (e dai sogni) dell’autore. Persuadersi del vero è ricerca, interrogazioni, riannodo dei fili, abbandono del romanzo per affidare l’intera storia ai versi, uniche entità in grado di colmare il vuoto esistenziale, le mancanze e tutte le curvature dello spazio psichico.Le strade si biforcano verso l’ultima parte del libro, non una semplice raccolta di poesie ma “storia” circolare e irriducibile, e volontà di attribuire un pensiero agli avvenimenti che hanno visto il padre protagonista o talvolta comprimario. Le digressioni lungo la mappa s’intercettano nelle domande e nella visione lucida dei particolari: case ritornano alla luce del tramonto, alberghi silenziosi e attrattive sensuali dentro giornate che avviluppano la mente, come se l’adulto scrittore ridiventato ragazzo non potesse più indietreggiare di fronte a certi quadri viventi. Scatti fotografici, lampi, a cui molti di noi si rivolgono come se davvero ci appartenessero al di fuori della veste condizionante della storia. Giartosio mira a presentare il proprio padre come un padre di tutti, irrinunciabile e eterno. Un rimedio quasi certamente necessario per attribuire un senso a quest’epoca di esuli familiari, di orfani di un secolo finito per sempre.