Nelle vie calde la temperatura si alzerà/ Moltitudini, moltitudini/ Non si erano mai viste code tanto grandi, tanto lunghe/ Tanto grandi, tanto lunghe (L’Esodo, Franco Battiato)
Un ragazzo dell’upperclass ammazza il tycoon di una delle più grandi assicurazioni del mondo, a New York. Lo fa con una pistola stampata in 3D. Una Tesla cybertruck esplode davanti al Trump Hotel, a Las Vegas. È un attentato suicida, lo compie un soldato di 37 anni, che si è documentato su chatgpt per organizzarlo. Quasi in sincrono, un veterano dell’esercito fa strage di pedoni con un van a noleggio, a New Orleans. Una strage premeditata, organizzata con l’ausilio degli occhiali Meta per filmare luoghi e definire tattiche. Pochi giorni dopo, un incendio divampa in California, alimentato da venti fortissimi e suolo arido. Il fuoco è inarrestabile, è l’inferno. Brucia Los Angeles, Malibu parimenti. Decine i morti, centinaia di migliaia gli sfollati. Trump e il suo braccio cibernetico Musk inveiscono contro il capo dei Vigili del Fuoco di Los Angeles, donna, omosessuale e militante per i diritti LGBTQ+: avrebbe distratto fondi dalla prevenzione verso le politiche DEI (Diversità, Equità, Inclusione), dicono. “DEI means people DIE”, twittano a più non posso. L’intelligenza artificiale genera una falsa immagine della scritta Hollywood, lassù sulla collina, circondata da fiamme fameliche. Veri sono invece i video di gente che abbandona l’auto in strada e fugge a piedi, improvvisamente profuga a casa propria. La State Farm, principale assicurazione californiana, ci aveva visto lungo nel marzo 2024, rifiutando il rinnovo di 72.000 polizze immobiliari perché ritenute troppo rischiose dal punto di vista ambientale.
È il presente americano, quindi è il reale. Un reale fatto di omicidi di massa, di bombaroli, di giustizieri senza causa. Di turbotecnologie, di estrema destra di lotta e di governo, di fake news. Di apocalisse climatica, di diseredati. Difficile cercare di dare una dimensione letteraria a questo tempo presente, che da quando è cominciato – già: quando è cominciato? – non finisce di accelerare, anzi, di precipitare. Si suole infatti pensare che il racconto letterario esiga una distanza di tempo, una certa qual alterità dall’oggetto e dai soggetti della narrazione. Stephen Markley però va controcorrente, e nel 2023 dà alle stampe Il Diluvio, che in Italia viene pubblicato da Einaudi nel novembre del 2024 (tr. Manuela Francescon e Cristiana Mennella, pp. 1.304, euro 26.00). Un romanzo audace – temerario? -, a cominciare dall’esorbitante lunghezza. Poco meno di un migliaio di pagine nell’edizione originale inglese. Una sfrontatezza, per un autore con solo un titolo all’attivo (Ohio, 2020). Una imposizione degli editor, fa sapere Markley, perché la sua prima bozza arrivava a lambire le 1.500 pagine. La dimensione è una dichiarazione di intenti: Markley punta al grande romanzo americano. Lo fa realizzando quello che apparentemente è un instant book, un racconto in cui si scontrano ed esplodono tutte quelle componenti del presente summenzionate. Presente che per Markley incomincia dal 2013, secco: lo scrive sotto il titolo del capitolo 1. Un futuro prossimo per lui, che aveva cominciato a lavorare al libro nel 2012. 2013, dunque: lo scienziato Tony Pietrus, che studia le conseguenze del cambiamento climatico sui fondali marini, riceve una busta minatoria, contenente una strana polvere bianca. Le ricerche di Pietrus vertono sull’instabilità crescente degli idrati di metano, collante ghiacciato dei fondali oceanici. Per i lettori più attenti, l’incipit de Il Diluvio fa chiaro riferimento a Il Quinto Giorno (2004), formidabile disaster book di Frank Schätzing. Nel libro di Schätzing, gli idrati venivano minati da una strategia offensiva di vermi e animali marini, eteromanipolati da un’intelligenza (in)naturale per il rovesciamento definitivo dell’antropocene. Ne Il Diluvio, invece, la degradazione degli idrati è solo una porta d’accesso, uno stargate alla definizione di un immaginario dell’estinzione più reale del re. È infatti il cambiamento climatico, riscaldamento globale in primis, la causa del degradamento degli idrati.
Sempre il cambiamento climatico è la causa umana, troppo umana, della calamità naturali che scandiscono il racconto del Diluvio. Tempeste, uragani di polvere che nemmeno su Marte o in Mad Max, sconvolgono e fanno tabula rasa di interi Stati. Alluvioni incontenibili, generate da precipitazioni ultramonsoniche o dall’innalzamento del livello del mare, cancellano comunità urbane e rurali. E poi incendi, certamente. Pari pari quello della California, sia nelle cause – l’aridità del suolo, i venti inesorabili, l’infiammabilità dei materiali di costruzione – sia negli effetti – l’inadeguatezza dei mezzi di prevenzione e contenimento, la distruzione, la definitiva reductio ad paupertatem della working class -. Markley affresca il rogo della California in uno dei passi salienti del romanzo, ed è curioso come l’attualità del suo racconto presenti anche tracce di un altro grande romanzo americano diversamente collocato, il Blonde di Joyce Carol Oates (1999), laddove la piccola Marylin Monroe, negli anni Quaranta, era sballottata in auto dalla madre mentre Beverly Hills, Bel Air, Los Feliz avvampavano.
Immaginario dell’estinzione ma anche memoria, immaginario collettivo, ed è uno dei due contesti dell’azione ne Il Diluvio. L’altro è un contesto virtuale, simulato ma non per questo meno reale. Markley immagina infatti che attraverso un visore 3D ed una app a diffusione mondiale, Slapdish, chiunque abbia accesso a Worlde, possa cioè creare stanze, piazze, luoghi digitali a propria immagine e somiglianza, interagendo via avatar con qualsiasi altro utente in ogni parte del mondo. È, questo Worlde, la naturale derivazione del multiverso digitale creato da Ernest Cline per il suo Ready Player One (2011), privato della dimensione videoludica ed arricchito della dimensione sociopolitica. Worlde è la sublimazione dell’Internet, contiene luoghi personali di tortura, di sesso estremo, ma anche terre di mezzo per riunioni segrete, camerette ricordo dell’infanzia, tendoni sotto i quali sproloquiano i predicatori dell’apocalisse. Worlde, come il presente reale, è caos, è anarchia. Markley traccia l’intervallo del suo presente, dal 2013 al 2045, e definisce gli effetti degli stati di calamità progressiva sulla società americana. Preconizza un’opinione pubblica totalmente, manipolata da algoritmi a colpi di deep fake e fake news, appiattita su ideologie postnaziste e ultraradicali da far sembrare Trump un guitto bonario. Gli Stati Uniti di Markley sono governati a braccio da una classe politica di fanatici sovranisti, con i dem ridotti a fantocci ketaminici e guerrafondai, ed i repubblicani, loro malgrado e a loro insaputa, come unici attori in grado di prendere decisioni per porre un qualche rimedio, un qualche indugio alla fine del mondo. Contrastati, per contrappasso, dai loro principali finanziatori, i petrolieri riuniti in lobby, immarcescibili nel voler fare profitto con i combustibili fossili, malgrado non sia rimasto più nulla da profittarsi.
L’ambizione di Markley, evidentemente, è altissima: mira a rappresentare le fasi terminali della società capitalistica, il crollo di un’ideologia come crepuscolo dell’Antropocene. Il Diluvio però non è un saggio antropologico, è fiction all’apice della sua espressione; quindi, la macrostoria vive e si trasfigura grazie alle microstorie, agli intrecci di una galleria variegata di personaggi. Gli scienziati e le loro complesse famiglie, come Pietrus e Ash. I politici e le loro relazioni pericolose. I nuovi poveri, i migranti climatici. E, soprattutto, gli ambientalisti, unici in grado di tentare azioni di contrasto, all’apocalisse climatica come all’ordine costituito. In primis, Kate Morris. Visionaria, carismatica, pragmatica, genderfluid, ma al contempo donchisciottesca, nichilista, anelante il martirio cristologico. Come una Greta Thunberg che ce l’ha fatta, mette in piedi un movimento politico ecologista in grado di influire direttamente sulla legislazione e sui gruppi di potere americani. Messa all’angolo dalla destra reazionaria e da uno scandalo sessuale, si rende artefice di una storica occupazione di Washington, chiamando a raccolta migliaia di proseliti da tutto il mondo. Un’occupazione pacifica, repressa nel sangue da milizie di vigilantes privati e dalla fratellanza ariana, all’apice di una nuova guerra civile americana. Pagine cruentissime, vivide quanto la Civil War del regista Alex Garland, al punto che la visione del film è sicuramente propedeutica alla lettura del romanzo. Dalla stessa parte ideologica di Kate Morris, il personaggio di Shane, ragazza madre subproletaria, con il suo gruppo di ecoterroristi convinti che solo l’azione violenta, portata alle sue estreme conseguenze, possa causare il big bang necessario alla genesi di una società sostenibile. In mezzo a Kate e Shane, i diseredati, i tossicodipendenti della suburbia, senza arte né parte né futuro; la carne da macello già vista in Ohio, cui Markley riserva il meglio del suo afflato narrativo. Keeper, il picaresco, il miserabile, il fatto marcio di ossicodone, senza un penny da portare a suo figlio (sordomuto, per eccesso di melodramma). Keeper, sempre raccontato in seconda persona, assoldato con l’inganno dagli ecoterroristi per un attacco kamikaze. La descrizione dell’attacco è un romanzo nel romanzo, ha l’incedere inesorabile di un romanzo kinghiano. A King Markley guarda dichiaratamente e con devozione; nelle distopie di Stephen King trova il cuore, pulsante, marcio, della barbarie americana. Arriva a far citare ai suoi personaggi L’Ombra dello Scorpione, cui è palesemente ispirata l’ombra più sinistra dell’intero romanzo: il Pastore. Attore fallito, fanatico religioso per opportunità, il Pastore predica l’odio e fomenta il terrore su Worlde, ispira esecuzioni capitali, stupri e mutilazioni in live streaming, anela al potere politico con le legioni di fanatici che lo seguono. In un romanzo dove la tecnologia e le tecnocrazie sono così piene di senso, non potevano mancare i riferimenti ad un ulteriore padre nobile della follia made in USA: è Philip Dick. Dick viene espressamente citato come colui che aveva previsto l’era dell’Intelligenza Artificiale, ma è dickiana tutta l’idea di una società intrinsecamente nazistificata (La Svastica sul Sole). Questi Stati Uniti sono calati in un mondo che collassa, all’apice della sua entropia, e con umorismo criminale Markley colloca Anders Breivik, lo stragista, l’ur-nazista 4.0, a capo della coalizione fasciosovranista che governa – per modo di dire – la vecchia Europa, insieme a Fratelli di Italia, Vox, AFD.
Il Diluvio è un romanzo inesorabile, lo si legge pensando di fare un atto di contrizione – tutti siamo complici, ignorantia non excusat – , per poi scoprire che c’è solo condanna, non espiazione. Tra le rovine di un presente grondante riferimenti all’attualità vera, o verosimile, si scorge tuttavia un barlume di speranza. Viene dall’incrollabile fiducia nella scienza, e nella possibilità che i più giovani tra noi, quelli che sono nati al tempo della decrescita infelice e della catastrofe permamente, quelli senza apparente futuro, possano trovare nuove forme di convivenza, tra di loro e con il pianeta. Per sopravvivere, o per prolungare l’agonia?