Sara R. Farris / Paradossi razzisti della lotta per i diritti delle donne

Sara R. Farris, Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne, tr. Marie Moïse e Marta Panighel, Alegre, pp. 304 , euro 18,00 stampa, 9.9 epub

Il libro di Sara R. Farris solleva grandi temi e grandi interrogativi a partire dal titolo Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne. Cos’è il femonazionalismo? È la strumentalizzazione delle tematiche femministe da parte dei nazionalisti, sovranisti e suprematisti bianchi, del neo liberismo e di alcune femministe e organizzazioni di tutela delle donne che, grazie al loro prestigio, danno forza e dignità alle idee razziste. Quali sono le idee razziste che, secondo Farris, costituiscono una vera e propria formazione ideologica? L’idea è che gli uomini di religione islamica siano violenti e prevaricatori e che le donne siano le loro passive vittime. Che siano un soggetto debole e bisognoso di aiuto e liberazione da parte dell’occidente lo si evince dal fatto che le donne sono indotte a portare velo e burqa e sono costrette a matrimoni combinati e mutilazioni genitali.

Il maschio islamico è dunque l’oppressore e la donna islamica è la vittima. Il messaggio è stato fatto proprio da partiti di destra, le cui politiche sono analizzate in modo accurato dall’autrice, che prende in esame l’olandese Parttij voor de Vrijheida, il francese Front National e l’italiana Lega di Matteo Salvini, confrontando le dichiarazioni e le politiche di integrazione proposte, ma queste idee si sono diffuse tra chi difende il sistema neo liberale e tra alcune donne, in una sinergia fragile, che può essere reversibile se criticata e destrutturata culturalmente, ma che è stata amplificata in modo enorme dai media, radicandola nel senso comune.

Dalla motivazione data dagli USA l’11 settembre di bombardare l’Afghanistan per liberare le donne dal burqa, alla martellante discussione sull’uso del velo in Europa con i molteplici divieti di entrare nei luoghi pubblici che i sindaci hanno deliberato nelle città da loro amministrate, al continuo ripetere che le donne musulmane sono oppresse e vittime da parte di alcune donne occidentali di prestigio come Oriana Fallaci, l’idea che ci sia tra l’occidente e i paesi musulmani uno scontro di civiltà che vede al centro la condizione femminile è penetrato ormai nella coscienza di massa.

Farris molto acutamente avverte il lettore che non intende parlare della realtà dei rapporti uomo-donna nei paesi islamici, ma di come essa venga rappresentata in Europa, di come cioè la disparità uomo-donna venga concettualizzata in Occidente, non per risolverla, ma per accentuarla, rinforzando in questo modo la retorica razzista.

Che si tratti di retorica e di combinazione di elementi ideologici già collaudati lo comprendiamo dalla costante ricorsività del discorso razzista.

Durante il periodo coloniale le donne nere dovevano essere liberate dall’uomo nero per essere protette dal bianco più avanzato culturalmente, alcuni anni fa erano i maschi dell’est che erano dipinti come alcolizzati e volenti, dediti al crimine e alla tratta delle donne per farle prostituire, recentemente abbiamo letto la giustificazione dei bombardamenti in Jugoslavia per impedire gli stupri etnici, senza dimenticare le accuse ai rifugiati siriani come responsabili dei furti e delle aggressioni sessuali subiti dalla donne a Colonia nel Capodanno 2016.

Da anni il corpo delle donne è la scusa per scatenare le conquiste e giustificare le guerre. Dal canto loro i partiti di destra, difendendo le donne oppresse e i loro diritti, acquistano una maggiore legittimità e presentabilità democratica e allo stesso tempo possono demonizzare l’immigrato non per il colore della pelle, argomento ormai poco accettabile dal largo pubblico, ma con motivazioni nobili come la difesa delle donne, elaborando politiche immigratorie che contemporaneamente integrano e discriminano e creano una manodopera sfruttata e ricattabile da usare senza troppi problemi. Impossibile ricostruire l’insieme delle ricche analisi, dei ragionamenti e la massa di dati che la Farris ci fornisce per motivare i suoi ragionamenti. Il libro va letto e studiato. Comprendiamo dalla sua analisi che l’islamofobia è funzionale non solo al discorso politico dei nazionalisti, ma anche al sistema neo liberale. Le politiche immigratorie prevedono che le donne musulmane diventino brave cittadine e imparino, in un percorso lungo di assimilazione, che la cultura occidentale le “libera” e che conviene loro educare ai valori occidentali loro figli, dimostrando di essere buone madri e volonterose lavoratrici.

Mentre gli islamici entrano nel mercato del lavoro con paghe sensibilmente più basse e privi dei diritti sindacali, entrando a far parte dell’esercito industriale di riserva – e questo non solo nei campi, ma nella aziende di Stato come Fincantieri – per le donne invece si prevedono sanatorie e l’atteggiamento dei politici è molto diverso: sono integrate nel mercato del lavoro in modo subalterno nei lavori di pulizia e di cura della persona, sono colf e badanti, e sopperiscono a costo ridotto alla distruzione del welfare operata in tutti questi anni nei paesi europei.

Ma le donne, le femministe come mai sono talvolta concordi con i discorsi che vengono fatti? Per Farris perchè ripropongono in epoca post fordista una tematica fordista degli anni’70: perché il lavoro fuori casa è stato interpretato come strumento di emancipazione, mentre il lavoro riproduttivo e di cura è stato letto come terreno di subordinazione della donna, senza rendersi conto appieno della sua centralità per la riproduzione del sistema capitalistico e delle sue ideologie, come aveva indicato il gruppo padovano che teorizzava il salario al lavoro domestico.

Alcune femministe hanno completamente dimenticato la lezione illuminante appresa nel libro “Non credere di avere dei diritti” del 1987, quando le militanti della Libreria delle donne notarono la tendenza femminile ad allontanare da sé e dalla propria cultura la subordinazione di genere e attribuirla alle altre, alle meridionali, alle straniere, distogliendo dalla propria coscienza la pena del cammino ancora da compiere. Una conclusione che emerge sotto traccia dal libro e che sarebbe utile discutere è il tema dei diritti che da anni è diventato dominante nel pensiero politico. Il tema dei diritti – come dimostra il volume – diventa termine ambiguo, manipolabile ideologicamente e facilmente revocabile. Forse il tema dell’uguaglianza e della lotta contro il suprematismo bianco, in qualsiasi forma si manifesti, sia come razzismo nei confronti degli Altri, sia come paternalismo predatorio e sfruttatore nei confronti delle donne, è un terreno più solido delle lotte per la libertà femminile. Forse è proprio il neo liberismo e tutte le ideologie ad esso collegate a dover essere sconfitte. Senza questa consapevolezza complessiva e senza questa salutare diffidenza verso il pensiero dominante le lotte delle donne rischiano di rimanere subalterne a sistemi economici e culturali ostili da millenni alla libertà femminile.