Federica Montevecchi / Mi ricordo, sì mi ricordo: memoria personale, memoria storica

Federica Montevecchi, Frammenti di futuro. Ricordi di donne e uomini del Novecento, Pendragon, pp. 157, euro 16,00 stampa, euro 9,73 epub

In un’epoca di oblio sistematico della storia e della cultura, delle esperienze passate e dei tragici errori commessi come corpo collettivo, il libro di Federica Montevecchi ha la forza lenitiva di un balsamo potente. Come si legge nell’introduzione, il volume si configura quale “mosaico di ricordi” teso a sottolineare l’importanza della memoria, a riconoscere con essa, a partire dalle vicende personali, “il legame individuale e collettivo tra passato, presente e futuro”. Lungi dal presentare un meccanico rammemorare fatti accaduti ormai lontani e superati, un esercizio teso alla celebrazione di una tradizione che sottende la rinuncia all’azione, questo progetto reca in sé una certa aria militante – come si diceva un tempo – che si propone di far affiorare “esigenze che attendono ancora di essere realizzate”, una sorta di non passato che può costituire “una diversa esperienza del presente”, “un accesso privilegiato al futuro”, un modo “per rilanciare l’impegno etico e politico”: non è cosa da poco.

Per realizzare tale progetto la saggista e studiosa di filosofia (che ha curato tra l’altro l’epistolario dal carcere fascista e una silloge di scritti di Vittorio Foa, firmando con lui un paio di libri), si è imbarcata in un autentico viaggio nella memoria: all’approssimarsi della fine del millennio (tra l’estate e l’autunno del 1995), armata di registratore ha bussato alle porte di donne e uomini che nei rispettivi campi hanno lasciato un segno indelebile nel panorama culturale e scientifico del Novecento italiano, chiedendo loro di ripercorrere le proprie esperienze emotivamente fondanti, immettendole nell’alveo della storia. I loro nomi, in rigoroso ordine alfabetico, sono tutto un programma: Carlo Bo, Giorgio Bocca, Antonino Caponnetto, Renato Dulbecco, Giulio Einaudi, Inge Schönthal Feltrinelli, Vittorio Foa, Margherita Hack, Nilde Iotti, Mario Luzi, Mario Soldati, Elio Toaff, Leo Valiani, Tullia Calabi Zevi.

L’idea del libro è nata dall’esperimento del Je me souviens di Georges Perec, uno scritto del 1978 che mostrò come i ricordi quotidiani di ciascuno siano in grado di riattivare la memoria comune, come cioè l’autobiografia sconfini nella storia di noi tutti aprendo un gioco di rimandi e di legami fra epoche diverse, a tal punto che fra la sfera della quotidianità e quella storica si può notare una relazione inscindibile. Dietro il progetto di Montevecchi v’è forse anche l’esempio metodologico di Marc Bloch, i risultati degli storici delle Annales e della microstoria, tuttavia lo stile è programmaticamente quello del testo di Perec: al posto delle domande, l’intervistato apre i vari paragrafi dei propri ricordi con l’espressione “mi ricordo”, seguendo libere associazioni di memoria riferite alle diverse età della propria esistenza, ponendo attenzione alla dimensione ordinaria, ai dettagli, prima ancora che agli importanti avvenimenti di cui fu protagonista. In tal modo, i ricordi non formano una sorta di storia monumentale, antiquaria, ma mettono in luce “il nesso fra la condizione umana con le sue ragioni e i suoi sentimenti e lo scorrere del tempo”, nella convinzione che dalle vicende comuni e quotidiane, più che da sistemi ideali e teorie, possano scaturire autentiche riflessioni e azioni capaci di dar conto delle proprie esperienze e della realtà da cui sono originate.

Molteplici i temi affrontati da cotanti intelletti, sempre attuali poiché costitutivi dell’essere umano: la libertà (dal fascismo, dal pensiero unico, da ogni tradizione castrante, dal malaffare), la conoscenza e la curiosità intellettuale, la voglia di creare e sperimentare, il rapporto con l’amore, la vecchiaia, la morte, la fede. Comune a tutti loro – forse il maggiore insegnamento che si può trarre da questa lettura – è la capacità di cogliere la vita nella sua dimensione storica ma anche nella sua irriducibile indeterminazione, il considerarla, nelle parole di Mario Soldati, “un fluire incessante, ricco di possibilità, pieno e complesso”, la cui vera essenza è la contraddizione, ovvero “ciò che permette libertà di scelta e di critica”.

Insomma, nel vuoto pneumatico della stagione che stiamo vivendo, i concreti esempi “di esistenze ricche di vita e di pensiero” offerti in queste pagine assumono davvero una forza ed un impatto titanici. E forse indurranno qualcuno a riesumare delle politiche culturali, per provare a riannodare i fili perduti di una grande tradizione culturale ed umana che si è andata drammaticamente sfaldando, facendoci ripiombare in un medioevo della ragione e del sentire.