Già da diverse parti si è cominciato a riflettere sul carattere “esoterico” di molta fantascienza, anche quella di ottima fattura, intendendo con questo termine una scrittura per iniziati, cioè destinata a lettori e lettrici il cui gusto letterario si è formato su innumerevoli libri di fantascienza, dai classici dell’età d’oro fino ai contemporanei. A differenza di altri generi, la fantascienza possiede un ampio ventaglio di tópoi; malgrado molti di questi siano entrati nell’immaginario comune anche grazie al cinema (il robot, il clone/replicante, le civilizzazioni galattiche, il viaggio nel tempo, gli extraterrestri), l’esigenza della fiction scritta di spiegare gli aspetti non quotidiani dell’ambientazione si scontra con la buona vecchia regola della reticenza. Nella fantascienza la minaccia più grande all’attenzione del lettore è il pericolo infodump, vale a dire il rischio d’interrompere l’azione e il ritmo del racconto per spiegare una serie di elementi essenziali.
Mi spiego. Nella fantascienza l’ambientazione è di fondamentale rilievo, anzi spesso lo scrittore costruisce una storia con trama e personaggi per raccontare una particolare ambientazione: una civiltà aliena, una società del futuro prossimo profondamente cambiata da una scoperta scientifica o da una catastrofe planetaria, un nuovo tipo di organizzazione sociale su un altro pianeta o in un universo “parallelo” al nostro. Questa scelta comporterebbe una serie di spiegazioni senza le quali personaggi, storia e scenario risulterebbero incomprensibili.
Malgrado la recente ricerca di nuove narrazioni, la contaminazione di generi e la costruzione di scenari sempre più iperbolici, l’infodump affligge da sempre gli scrittori di science-fiction, che lo hanno affrontato in modi diversi:
- Inserendo a piene mani ovunque, nei dialoghi o nel discorso libero indiretto, tutte le informazioni necessarie. Un tale meccanismo è alla base di Ralph 124c 41+, pubblicato da Hugo Gernsback nel 1925, e considerato il romanzo fondatore della fantascienza (in Italia un’unica edizione italiana uscita nel 1978 su un numero della collana da edicola Omega sf), con l’effetto di appiattire i personaggi a stereotipi e essere costretti per contraltare a movimentare la trama con trucchi da guitto.
- Inserendo lunghe spiegazioni, magari all’interno di capitoli a sé stanti che non interrompono il flusso della narrazione. L’esempio classico è Solaris di Stanisław Lem del 1961 (Sellerio, 2013), ma in questo caso una parte consistente del sense of wonder è legata proprio all’ambientazione su un pianeta “vivente”, e senza questi capitoli la storia sarebbe molto, molto diversa — come testimonia l’ottimo film che Andrej Tarkovskij ne ha tratto nel 1972, opera inevitabilmente altra perché mancante di quella parte di documentazione sul pianeta.
- Giocando su quella particolare forma di understatement propria della fantascienza, per cui l’autore spiega al lettore l’uso degli oggetti (utensili ma anche invenzioni, scoperte scientifiche) però non il principio del loro funzionamento — e soprattutto nel caso di ambientazioni post-catastrofiche, distopiche, tende a accennare brevemente alla “causa scatenante” dello scenario per poi concentrarsi su trama e relazioni tra i personaggi.
Non sempre l’ultima tra queste scelte è possibile: è un’opzione “economica” dal punto di vista della scrittura, ma è funzionale solo per scenari non eccessivamente complessi, e soprattutto “poveri” di tecnologia futuribile.
Una particolare variante è invece quella che hanno cominciato a adottare alcuni autori contemporanei, diciamo a partire dal cyberpunk degli anni Ottanta: scrivono come se parlassero a lettori contemporanei dell’ambientazione, quindi non spiegano nulla e lasciano che l’ambientazione spieghi se stessa. Non è certo una scelta che va incontro al lettore distratto, tanto meno al neofita non abituato ai luoghi comuni della fantascienza. I migliori autori sanno trovare il giusto equilibrio tra ritmo narrativo e understatement, un esempio per tutti può essere La città e la città di China Miéville del 2009 (Fanucci, 2011), in cui uno scenario estremamente complesso viene lasciato filtrare a piccole dosi, capitolo dopo capitolo, ogni volta in cui risulta essenziale alla comprensione di un determinato passaggio.
Per la sua trilogia Imperial Radch, che Mondadori presenta in una nuova traduzione Oscar Titan Edition, la scrittrice statunitense Ann Leckie ha optato per una scelta decisamente understatement, che in questo caso risulta però piuttosto impegnativa per il lettore, soprattutto quello occasionale, disorientato dalla quantità di elementi che vengono dati per scontati.
La storia è ambientata in un futuro lontanissimo nel quale la civiltà umana, sparsa su una miriade di pianeti, è monopolizzata tra due entità politiche: l’impero Radch dominato dall’autocrate Anaander Mianaai, e le potenti aliene Presger. Il Radch è una dittatura militarista e imperialista, che stende progressivamente il proprio dominio su pianeti indipendenti con una rapida invasione seguita dall’eliminazione della classe dirigente, e in caso di resistenza giunge a pratiche prossime al genocidio.
Il volume comprende tre romanzi, Ancillary Justice (2013), Ancillary Sword (2014) e Ancillary Mercy (2015);
i titoli si riferiscono a classi di navi da guerra che sono il nerbo dell’impero Radch. Le storie si svolgono tutte all’interno della casta militare imperiale: la protagonista è Breq, che circa vent’anni prima del presente della narrazione era un’astronave da guerra, la Justice of Toren, ora distrutta; la sua personalità è sopravvissuta in una delle sue “ancelle”, corpi umani la cui mente è in realtà la frazione di un’entità collettiva in cui ogni elemento possiede le conoscenze del tutto. Ogni nave ha le proprie ancelle, soldati controllati a distanza che sono anche i suoi occhi e le sue orecchie; ma anche Anaander Mianaai, Lord del Radch, possiede parecchie copie di sé, risultando così praticamente indistruttibile. Infatti domina da anni l’impero.
Il conflitto che devasta il primo romanzo è generato dal fatto che la personalità di Mianaai si è scissa in due parti, ognuna con una pletora di corpi diversi, che si fanno una guerra spietata. In questo modo la determinazione di Breq a vendicare la distruzione della Justice of Toren si scontra con una difficoltà oggettiva: la quasi impossibilità di capire quale delle due parti avverse di Mianaai sia quella da combattere.
La lettura della trilogia è complicata da due altri elementi: la complessa struttura gerarchica delle navi da guerra, che hanno una loro autonomia di pensiero, ma sono governate da un capitano e da diversi tenenti sottoposti, al comando di squadre di ancelle contraddistinte da un nome particolare con un significato nella rigida gerarchia. Il secondo elemento è squisitamente linguistico: la lingua Radchaai non possiede due generi distinti, maschile e femminile. Si legge nella Nota del traduttore:
“Dato che il genere non è importante, per consuetudine tutte le persone vengono indicate con il pronome femminile. Non perché i personaggi siano tutti donne, ma perché questo prevede il Radchaai, la lingua franca dell’impero. […] D’altra parte che senso avrebbe fare questa distinzione quando una moltitudine di intelligenze (artificiali e no), compresa la persona più potente del Radch, hanno più corpi — e tutti divisi per età, sesso, etnia?”
Questo naturalmente comporta una difficoltà supplementare per la traduttrice (Francesca Mastruzzo), e di conseguenza per i lettori: mentre la lingua inglese è molto meno sensibile al genere sessuale, che entra in gioco di solito solo nei pronomi e nel possessivo, l’italiano, come tutte le neolatine, ha desinenze distinte per verbi, sostantivi, aggettivi e perfino articoli. La versione italiana di questo ciclo di romanzi risulta di conseguenza più “femminilizzata” dell’originale inglese, e questa difficoltà aveva spinto il precedente editore italiano, Fanucci, e il suo traduttore Matteo Diari a rimuovere l’intero discorso di genere. L’edizione Mondadori ripristina il conflitto linguistico.
Nel secondo romanzo, Ancillary Sword, Breq ha ancora sembianze umane, e fa una conoscenza più da vicino con le Presger (ma potremmo dire anche i Presger). Nel terzo e ultimo romanzo, Ancillary Mercy, la lotta di Anaander Mianaai contro se stesso si incrocia con i trattati di pace che impediscono una guerra devastante con i potenti vicini alieni.