Che l’industria del mondo del calcio sia eticamente inaccettabile lo dimostrano le cifre vertiginose che ruotano attorno a questo sport, miliardi di euro che rimetterebbero in sesto l’economia di molti paesi del terzo mondo e non solo. Ingaggi dei giocatori spropositati, compensi ai procuratori che assicurano ai loro protetti le destinazioni più vantaggiose, costi di gestione insostenibili fanno sì che gli incassi delle partite, gli introiti dei diritti tv, la vendita di gadget e divise e le entrate degli sponsor non bastino più. E per questo motivo si falsano i bilanci con le plusvalenze, si attribuiscono cioè ai giocatori ceduti un valore economico ben al di sopra di quello reale, si dichiarano ingaggi inferiori a quelli che effettivamente si sostengono, si fanno sparire spese che possono essere nascoste. E anche le federazioni si inchinano al dio denaro: un esempio per tutti il mondiale che si svolge in Qatar, paese dove i diritti civili sono una chimera, gli omosessuali vengono trattati come malati psichiatrici e le donne relegate a ruoli meramente estetici. Oltre a questo, si parla di migliaia di vittime sul lavoro per costruire gli impianti che ospitano l’evento, ma i milioni che si spartiranno le federazioni dei paesi partecipanti sono stati un valido deterrente al boicottaggio.
La magia rimane però intatta sul campo, da quei campetti di quartiere improvvisati dove i ragazzi della mia generazione giocavano da piccoli, sostituendo i pali delle porte con un mucchietto di vestiti, per poi passare agli allenamenti in campi di cemento ricoperti da uno strato di ghiaia sognando di poter calcare un giorno gli stadi delle squadre più blasonate. Oggi quel campo in cui mi allenavo tredicenne, che vedo passando con lo scooter sopra l’asse attrezzato che unisce il centro alla zona industriale della città, è un manto verde perfetto, un’erba sintetica dove si muovono ragazzi a cui insegnano una tattica che ai nostri tempi era molto meno complessa. Oggi è tutto più esasperato e temo che il divertimento sia stato sostituito da una competizione individuale anche all’interno della stessa squadra: si vuole arrivare a essere il migliore. Non esistono più bandiere, giocatori che iniziano e terminano la carriera nella stessa squadra: nel momento in cui c’è qualcuno che ti offre un ingaggio maggiore l’attaccamento ai colori svanisce, perché il giocatore più pagato si sente il migliore del mondo. Se gli anni Sessanta sono stati segnati da Pelè, gli anni Ottanta sono stati quelli di Maradona e i Novanta di Ronaldinho, fenomeni diversi ma che incarnavano, ognuno a modo loro, il gioco del calcio. Gli anni duemila, fino a oggi, sono stati quelli del dualismo tra Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, confronto più sentito dal secondo che non ha mai nascosto la sua ossessione di essere considerato il migliore del mondo.
In questa biografia Fabrizio Gabrielli, giornalista che ha sempre parlato di calcio, e scritto una biografia di Ronaldo, ci narra della vita di Messi fin dalla sua infanzia. Come quasi tutti i grandi del calcio, è nato in una famiglia non benestante in una città dell’Argentina che ha addirittura tre squadre. L’immensa pianura in cui sorge Rosario, città natale, sembra essere una successione infinita di campi da calcio, dove tutti i ragazzi cercano l’affermazione per cambiare il proprio destino. Fin da piccolo Leo mostra doti straordinarie, tanto che a quattro anni gioca con i bambini di sette lasciandoli spesso con un palmo di naso. Ma la sua infanzia non è tutta rose e fiori, tratto comune a tutti i più forti giocatori passati e moderni, come se vincere le avversità fosse punto di partenza imprescindibile per affermarsi. A parte la situazione economica non florida, la mancanza dell’ormone della crescita sembra precludergli una carriera sfolgorante: a Rosario si rendono conto del suo talento, ma indugiano quando si tratta di aiutarlo per le cure e tesserarlo.
Il salto definitivo, anche se non privo di ulteriori difficoltà, avviene quando entra nelle mire del Barcellona, fino a pochi anni fa la squadra più forte del mondo, che ha sempre coltivato un settore giovanile da cui sono usciti giocatori straordinari. L’autore cita passi letterari e scrittori, dipinti e pittori, filosofi e allenatori: è il talento la base dell’arte, ma il talento va coltivato e sostenuto dal carattere che il giovane Leo, sradicato dal suo ambiente originario per stabilirsi a Barcellona con il padre, sembra non avere. Ma col tempo le cose cambiano, Messi diventa il fulcro di una squadra invincibile: la storia che ci racconta Gabrielli è costellata da alcune delle tante magie che questo giocatore ha regalato agli appassionati di calcio, al di là di bandiere e tifoserie. Carattere schivo e poco propenso alla ribalta fuori dal campo, ma capace di “vedere” con una velocità mentale unica linee di passaggio ad altri ignote: per questo motivo qualcuno ipotizzò che l’argentino soffrisse della sindrome di Asperger. Il fulmineo dinamismo nel dribbling è aiutato dal fisico brevilineo che gli permette di effettuare – come riusciva solo a Maradona – due passi mentre l’avversario riesce a farne solo uno. L’eseguire col piede sinistro giocate vietate ai comuni mortali lo trasforma in un calciatore inafferrabile che riesce a evitare anche i falli degli avversari e che può, da solo, cambiare l’esito di una partita. Nel momento in cui il Barcellona nel 2021 si è trovato in profonda crisi finanziaria Messi ha cambiato casacca. L’ha fatto malvolentieri: sarebbe stato disposto a dimezzarsi l’ingaggio, comunque insostenibile per la società catalana. Dunque la sua destinazione non poteva che essere il Paris Saint German, squadra parigina proprietà di emiri arabi, gli unici a potersi permettere l’esborso per il trasferimento e l’ingaggio valutato trentacinque milioni netti l’anno. Il calcio è un gioco maledettamente serio, dato il volume di affari che genera, ma col tempo ha perduto buona parte della sua magia, anche se molti sarebbero pronti a scendere in piazza se privati dello sport preferito. Ben pochi lo farebbero per manifestare contro ingiustizie, violenze e sopraffazioni. Calcio, oppio dei popoli, dei tifosi? Certo, ma le magie di Messi sono tutta un’altra cosa, arte allo stato puro: lasciatecele godere come semplici esteti del gioco del pallone quali siamo sempre stati.