Quando dal rumore di fondo (della vita e della città) emergono vibrazioni sinistre, e onde sismiche modificano l’attività dei cervelli lungo l’asse delle esistenze umane, qualcosa di diverso accade: niente più comodità proverbiali, se mai scostumatezze e violenze maschili, aggressioni durante concerti pop, e tetraggini visive. Nel romanzo di Fabio Bacà, seguente l’esordio (2019) di Benevolenza cosmica, oggetti misteriosi come un boomerang e diatribe virulente fra vicini di casa si materializzano come apparizioni di un multiverso alieno: vi si annusano strani odori dolciastri di estraneità. E il lettore avverte, al di sopra delle parti, quanto l’autore sappia tradurre in scrittura ciò che vede e ne faccia barriera – per l’incolumità di chi scrive e di chi legge. Poiché, in fondo, sappiamo fin troppo bene quanto le dimensioni spaziali possano essere perniciose se ci slittano addosso per una qualsiasi transizione di leggi (anche e soprattutto le più strane e meno euclidee) fisiche.
Bacà, ultimo autore italiano scoperto da Roberto Calasso, in questo nuovo romanzo fa esplodere i formalismi più profondi del cervello, illuminando, con fari accecanti e piegando verso l’imprevisto, ogni azione umana. Fino a che il sangue esce abbondante dove invece dovrebbe starsene tranquillo. E fino a che un ben poco avventuroso (quasi al limite della vigliaccheria) neurochirurgo (Davide), innamorato del mestiere e della propria moglie, si ritrova con energie e muscoli capaci di controbattere azioni nefaste di uomini pericolosi e violenti. Tutto questo grazie a una sorta di “angelo istruttore” (Diego) che lo guida verso zone impreviste, con pratiche vigorose rimpiazzanti il vecchio modus vivendi. E tutto cambia.
Accadono fenomeni strani nella città di provincia dove vivono i protagonisti, come se una frotta di virus, comandati da vibrazioni più sottili dei loro contenitori proteici, si muovesse lungo le zone razionali della mente umana deformandone la consueta plasticità. Qualcosa di esteticamente alieno comandato dalla perfezione formale della scrittura di Bacà, che dunque oltrepassa la barriera “encefalica” del libro e si trasmette alle nostre sinapsi, per poi dileguarsi lasciandoci imbambolati. E ci guardiamo intorno, di fronte a eventi inattesi, aspettando che qualcuno (diverso dal solito vicino di casa) bussi alla porta. Minacciati da un pericolo, avremmo ancora un 112 a disposizione o dovremmo pentirci di non essere corsi, tempo addietro, a faticare nella palestra del quartiere?
Ci si chiede con che occhio lo scrittore guardi e trasmetta sulla pagina lo strano posto in cui si è trasformato il mondo, e come riesca a sorvegliarlo seguendo le contorsioni cerebrali del protagonista neurochirurgo. Pazientemente arrivato al ridisegno della realtà, per una volta fermata nel suo intrico paradossale, con lente cinematografica d’implacabile tecnica Bacà scruta plausibili (perciò tanto più insopportabili) sviluppi di cronaca quotidiana: lasciandosi alle spalle amabilità e abilità da quattro soldi, sparse ovunque nelle patrie lettere, attraversa i luoghi dell’impervio.