Evoca musica, pensa immagine

Riccardo Muti, Le sette parole di Cristo. Dialogo con Massimo Cacciari, Il Mulino, pp. 140, euro 12,00 stampa, euro 8,49 epub

Museo di Capodimonte, di fronte alla Crocifissione di Masaccio. Chiusi nelle nostre dimore stendiamo lo sguardo su immagini derivate da cristalli liquidi, ormai estinti i tubi catodici, ma non estinte le anime, così ci si augura sperando di non incappare in un ulteriore clamoroso errore della storia. In un tempo appena precedente immaginiamo Riccardo Muti e Massimo Cacciari, loquaci e severi ai piedi di quest’opera il cui dolore si estende per poco più di mezzo metro quadrato ma che sul palcoscenico cosmico raggiunge ben altre dimensioni. L’immagine della Maddalena, inginocchiata di spalle, braccia alzate verso chi in croce sta spirando, è fermata in uno spasimo fiammante e ardente. Suono e icona sul palcoscenico della loro vita (in morte, certo) e della vita di noi tutti. Dell’esistenza, per meglio dire. L’effettivo contrasto non è più tale, sta a noi comprenderlo attraverso il dialogo che si dipana di fronte a quella tavola dipinta.

Dal basso si vede un Cristo soffocato, collo scomparso alla vista mentre l’intero corpo si abbandona alla morte. Il senso ultimo, supremo, dell’urlo forse è impronunciabile dalla sola immagine, questa la sensazione iniziale dei nostri dialoganti, mentre si preparano a dispiegare domande incrociate. È lì che irrompe, forse non tanto furtiva, la musica che vorrebbe “modulare” il grido dalla sfera del rumore alla gloriosa partitura: Haydn compone sette sonate, e innesta le ultime frasi di Cristo nelle fibre del quadro di Masaccio: E dopo secoli, musicista e filosofo si ritrovano in una consonanza, saggiando le proprie identità e i valori che un pubblico potrebbe ancora desiderare. Possiamo, nei tempi oscuri di quest’epoca, trasfigurare dolore e amore in musica? Muti e Cacciari lo credono fermamente, e sotto quell’icona il pensiero, il pensiero di entrambi infonde immagini e immaginazione.

Il suono delle parole, nella smisurata opera mondiale, il conseguente ascolto, il tempo del ritmo, l’arrivo del colore, quante altre connessioni vengono ispirate dall’icona? Il dialogo si poggia più di tutto sul rispetto, per il racconto fondamentale, biblico, e sull’irruzione anch’essa drammatica e più che umana delle sette sonate di Haydn. Muti sa come descrivere (dall’Introduzione “maestosa e solenne” al clima dell’intera composizione) temi e particolari profondi e quasi del tutto ignoti all’ascoltatore, riesce a trasfondere quelle dita dipinte, tese verso Cristo, della Maddalena, nelle note della partitura perché da questa possano giungere all’orecchio dell’anima. Insieme a Cacciari ascolta quel grido che parte da lassù in alto, dopo le ultime frasi che tutti nei millenni hanno inteso perché pronunciate con lingua universale. Così come la musica fa, quando innalza il testo cantandolo.

Sonata dopo sonata il calvario continua, e i capitoli ne partecipano il dramma, scambiando lezioni d’interpretazione e privilegi dei luoghi che influenzano esecuzioni, pensieri e delicatezze comunicative. Da Dante e Petrarca, da Haydn a Brahms, dai Prigioni di Michelangelo alla tomba di Raffaello tutto il libro evolve verso quel simbolo cui porta l’icona, base del ragionamento di Cacciari, veleggiando attraverso la musica. Oltre possiamo comprendere come Masaccio e Haydn si ascoltino e si guardino addentrandosi nel drammatico incontro fra umano e divino. Così come i dialoganti Muti e Cacciari fanno risaltare nelle nostre menti un’attività “speciale” che indica il matrimonio fra suono e idea.