Evgenij B. Pašukanis / Diritto e rivoluzione

Una rilettura di La teoria generale del diritto e il marxismo di Evgenij B. Pašukanis dentro la rivoluzione bolscevica di Lenin, alla luce di quei primi anni, dentro il suo tempo sincopato e straniante, quando fuori dalla Russia ci si stupiva che un governo potesse chiamarsi Consiglio dei Commissari del Popolo e annunciasse al mondo intero la dittatura del proletariato e i proletari di mezzo mondo in automatica sognavano l’esercizio diretto del potere.

Testo “datato” La teoria generale del diritto e il marxismo di Evgenij B. Pašukanis, ci dice nella sua bella Prefazione Giso Amendola. Perché scritto e pubblicato tra il ’23 e il ’24, a ridosso del primo assestamento della giovane Repubblica sovietica dopo gli anni terribili seguiti alla pace di Brest-Litovsk. E perché è del tempo della rivoluzione che qui si parla, un tempo che in Russia non ha concesso tregua a chicchessia, tanto meno ai tanti giurisperiti formatisi alle università zariste di San Pietroburgo e Mosca e condannati dalla sorte a inventarsi un diritto sovietico per dare forma socialista al nuovo Stato. Per Lenin, che li disprezzava dal profondo dell’anima, solo una masnada di imbroglioni[1] e chissà quante volte al povero Pašukanis saranno fischiate le orecchie accingendosi all’immane compito, prima (’25) in qualità di vicepresidente dell’Istituto della costruzione sovietica, poi (’36) di vice-commissario del popolo alla Giustizia. Già, perché Pašukanis solo per poco tempo è stato il portavoce dell’ortodossia leninista della dissoluzione del diritto.

Dopo un sofferto tira e molla sul tema, alla fine si deciderà per la concezione positiva (socialista) del diritto sposando le ragioni del piano[2]. Ma siamo ormai negli anni Trenta, in pieno termidoro staliniano, di fatto alla resa dei conti finale tra gli attori che negli anni addietro avevano partecipato allo scontro politico sulla NEP (Nuova Politica Economica) e al dibattito sull’industrializzazione.

A quest’ultimo Pašukanis la Prefazione di Amendola accenna appena e giustamente perché quanto accaduto in Russia – diciamo dalla morte di Lenin nel ’24 a quella di Pašukanis nel ’37-’38 (?) – è una storia diversa, “non della rivoluzione […] ma dell’ordinamento politico, sociale ed economico che ne è emerso”[3]. Insomma, la storia del socialismo in un solo paese.

Leggiamo invece La teoria generale del diritto e il marxismo dentro la rivoluzione bolscevica di Lenin, alla luce di quei primi anni, dentro il suo tempo sincopato e straniante, quando fuori dalla Russia ci si stupiva che un governo potesse chiamarsi Consiglio dei Commissari del Popolo e annunciasse al mondo intero la dittatura del proletariato e i proletari di mezzo mondo in automatica sognavano l’esercizio diretto del potere. E il poeta poteva cantare: oggi, / inverosimile verità, si avvera / la grande eresia dei socialisti [4]. Insomma, per una buona lettura di La teoria generale del diritto e il marxismo vale scegliere, pena più di una incomprensione, il momento in cui la rivoluzione russa aveva più fretta, voleva bruciare d’un sol colpo tutte le tappe e il suo ritmo era più concitato.

Lo stesso tempo, il ’17, che accolse Stato e rivoluzione di Lenin che però non sollevava nessun problema di metodo sul diritto. Molto probabilmente tra le due opzioni – se il diritto appartenga alla sovrastruttura o non sia piuttosto espressione diretta dei rapporti economici – dovette sembrare a Pašukanis che l’impianto dell’opuscolo si ispirasse al primo corno del dilemma mentre come studioso era certamente più interessato alla ricerca e alla dimostrazione della verità del diritto che alla trasmissione attraverso la disputa di un sapere su di esso già costituito. Pašukanis non respinge il marxismo ma l’uso dogmatico che nel clima infuocato di quegli anni ne veniva fatto, rendendolo sterile come strumento euristico dell’indagine scientifica.

Anche Marx si era trovato più di una volta in una situazione simile, ad esempio quando, fresco fresco di studi universitari, aveva affrontato di petto la filosofia del diritto di Hegel e quando, più maturo, si era cimentato con l’economia politica di Smith e Ricardo. Critica della filosofia, critica dell’economia politica, critica della politica: sempre questa parolina a ricordare a Pašukanis la metodologia criticista dell’approccio marxiano al sapere borghese[5]. Si evince da quell’ «e» incastonato nel titolo. C’è una teoria generale del diritto, col suo apparato concettuale, la sua storia e i suoi luminari, e c’è la critica marxista a mostrarne le aporie. Ma essa è appena “ai suoi albori”[6], il che significa che poco o nulla di quello che alla bisogna gli offriva il mercato era per lui utilizzabile. Il difetto semplicemente era nella fabbricazione, vale a dire nell’idea che la scienza giurisprudenziale fosse ideologia secondo l’opinione corrente dei circoli marxisti. Pašukanis sa benissimo dove questa idea va a parare[7]. Essendo l’ideologia pura illusione, la realtà sociale che il diritto restituisce non è quella vera – questa sì fuori di essa – ma “una realtà sociale in certa misura già mistificata”[8]. Se l’Ideologia tedesca e la Miseria della filosofia, i testi canonici della critica e della teoria dell’ideologia, non lo portano da nessuna parte, neppure Stato e rivoluzione lo soccorre.

Uno strumento euristico restava invece ai suoi occhi il metodo di Marx, metodo dell’astrazione determinata. Bene. Se questo metodo aveva funzionato alla grande per ristabilire la verità dell’economia politica quale scienza borghese par excellence, avrebbe potuto rivelarsi efficace anche “per la teoria generale del diritto”[9] quale sapere anch’esso borghese ché per Pašukanis le due cose, rapporti di produzione capitalistici e diritto, non abitano in mondi separati come vorrebbe la più classica delle topiche marxiste. Il diritto esiste solo in funzione di questi rapporti di produzione che sono il suo contenuto.  E se anche il diritto lo occulta, anche se “fa in se stesso totalmente astrazione[10] da esso, il fatto resta. Se Marx si era servito dell’astrazione determinata per svelare l’arcano di talune categorie semplici fondanti l’economia politica quali «lavoro», «merce» e «valore», Pašukanis se ne serve per demistificare l’uso ideologico di taluni concetti fondanti la teoria generale del diritto, in primis quello di «soggetto giuridico», utilizzato dal marxismo della scuola “solo per smascherare l’ideologia borghese della libertà e dell’uguaglianza, solo per la critica della democrazia formale”, insomma “uno strumento di inganno e un prodotto della ipocrisia borghese”, mentre è  “un principio reale attivo, incarnazione della società borghese”[11]. Il soggetto giuridico per Pašukanis è un’astrazione determinata tanto moderna “quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione”[12]. Su questo punto Marx era stato chiaro concependo “il passaggio al comunismo sviluppato non come passaggio a nuove forme di diritto, ma come estinzione della forma giuridica nel suo complesso, come liberazione da questa eredità dell’epoca borghese”[13].

Ma nella fase di transizione verso il socialismo che non bisogna prendere per socialismo? La teoria generale del diritto è stata pensata e scritta agli esordi di questa transizione e l’aria che il lettore accorto vi respira è quella. Quando nel ’23 Pašukanis presenta il suo lavoro all’Accademia delle scienze, può scorgere alle sue spalle il cammino che la rivoluzione ha percorso: a zig-zag, ovvero a strappi e salti. Ora abbracciando il comunismo di guerra[14], ora sposando le ragioni della NEP che con la restaurazione della libertà di commercio segnava un ritorno al capitalismo. A distanza di cinque anni la rivoluzione ancora non era riuscita a gettare le basi della futura economia. Quanto alla progressiva estinzione del diritto, neanche a parlarne. Un sistema giuridico statuale era stato approntato pur tra mille illusioni e, soprattutto, una Costituzione “sovietica” era stata promulgata nel ’18 in forma di “Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato”. Una cosa non da poco considerando le sue finalità: soppressione di qualsiasi forma di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, cancellazione della divisione in classe della società e instaurazione del socialismo nel mondo intero. Lenin poteva vantarsi che a partorirla non erano stati i giuristi raccolti in una qualche Commissione ma le lotte del proletariato russo[15] e infatti in essa non c’era posto per l’individuo borghese ma solamente per “il gruppo sociale e le associazioni dei lavoratori”, titolari effettivi delle libertà di cui lo Stato era chiamato “a facilitarne il godimento” [16]. Certamente un buon augurio per la nuova intrapresa della transizione.

La seconda tappa era appena cominciata con la riunione di tutte le repubbliche sovietiche in un solo organismo federale, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche deliberata nel ’22 e retta dalla Costituzione adottata l’anno successivo ma già si capiva che il clima non era più quello, non siamo ancora a un assetto istituzionale socialista, piuttosto a una forma ibrida di capitalismo monopolistico di Stato[17]. Per i più un passo indietro. Pašukanis vi allude in un capitolo di La teoria generale del diritto dal titolo Diritto e stato. Come funziona il diritto nella transizione? Aiuterà la trasformazione socialista dell’economia? La risposta non lascia dubbi: “le aziende che appartengono allo Stato sovietico lavorano a un medesimo compito comune, ma – dato che operano secondo criteri di mercato – si riferiscono ad un proprio distinto interesse e si oppongono quindi l’una all’altra, come acquirenti e venditori, muovendosi a proprio rischio e pericolo. È necessario, dunque, che esse assumano una correlazione giuridica[18]. Che resterà circoscritta nell’orizzonte del diritto borghese. Quanto allo Stato, esso non si identifica col diritto; piuttosto, “in quanto organizzazione del dominio di classe […] non richiede una interpretazione giuridica e, in sostanza, non la permette nemmeno”[19].  Che significa che nella transizione lo Stato non può essere pensato “come uno strumento per una nuova mediazione, magari socialista”[20]. A rinsaldare in un nodo gordiano socialista diritto e Stato provvederà, come sappiamo, definitivamente Stalin nel 1939[21]. Ma questa è un’altra storia.

Colpisce in questa riedizione de La teoria generale del diritto e il marxismo l’antica Premessa di Umberto Cerroni e, di contro, la Prefazione, si diceva, di Giso Amendola.  Due posizioni a confronto sul tema della transizione, socialista la prima, comunista la seconda. Il Pašukanis di Cerroni segue “l’ ‘età eroica’ del nuovo Stato” quando, con la morte di Lenin, “si apre la fase in cui il problema della stabilizzazione delle istituzioni giuridiche e politiche si pone all’ordine del giorno”[22]. Ad apprezzarlo chez nous furono negli anni Settanta i Bobbio e i Berlinguer. Quello di Amendola ha un piede piantato nell’età eroica della rivoluzione e un altro nel nostro tempo. “Qui l’estinzione del diritto non è utopia: è precisamente il problema che una politica della trasformazione radicale si trova davanti”[23].


Evgenij Bronislavovic Pašukanis, La teoria generale del diritto e marxismo, prefazione Giso Amendola, tr. Emma Martellotti, Pgreco edizioni, pp. 218, euro 18,00 stampa


[1] V. I. Lenin, Sullo Stato in Opere complete XXIX, Editori Riuniti, Roma 1967.

[2] P. de Lara, Prendere sul serio il diritto sovietico in Nomos. Le attualità nel diritto 2-2012, p. 2: “Il piano è il diritto dello Stato sovietico (…), la transizione dallo scambio di tipo mercantile alla pianificazione integrale trasforma gli agenti economici. Non si tratta più di soggetti di diritto, distinti da altri soggetti e legati tra di loro da relazioni contrattuali, ma di un nuovo tipo di attori economici che non sono altro che un ingranaggio della macchina dello Stato”; “il concetto dell’individuo come soggetto di diritto (…) viene rimpiazzato dall’impresa di Stato e da altre organizzazioni pubbliche che divengono così i principali soggetti del diritto”.

[3] E. H. Carr, Il socialismo in un solo paese I, Einaudi editore, Torino 1968, p. XI.

[4] V. Majakovskij, La rivoluzione in Opere 1, Editori riuniti, Roma 1972, p. 112.

[5] Sul tema E. Renault, Marx e l’idea di critica, manifestolibri, Roma 1999.

[6] La teoria generale del diritto e il marxismo, cit., p. 51.

[7] Ivi, § II.

[8] Ivi p. 86.

[9] Ivi p. 78.

[10] Sul tema L. Althusser, Lo Stato e i suoi apparati, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 64.

[11]  La teoria generale del diritto e il marxismo, cit., p. 54.

[12] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica in Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica I, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1968, p. 30.

[13] La teoria generale del diritto e il marxismo, cit., p. 75.

[14] C. Hill, Lenin e la rivoluzione russa, Einaudi editore, Torino 1954, p. 143: “Sappiamo che non siamo in grado di instaurare ora un sistema socialista; Dio voglia che possa essere instaurato al tempo dei nostri figli, o forse dei nostri nipoti”.

[15] V. I. Lenin, Discorso per il primo anniversario della rivoluzione in Opere 28, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 145.

[16] M. Tomba, O feto é uma personalidade legal? Sobre a saturação jurídica, nel n. 2 del volume 6 di Rivista Rosa il 14/12/2022

[17] V. Lenin, Sulla cooperazione in Opere scelte II, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948. Sul tema M. Cacciari Preobraženskij e il dibattito sull’industrializzazione durante la NEP in M. Cacciari/P. Perulli, Piano economico e composizione di classe, Feltrinelli Editore, Milano 1975, § 1.

[18] La teoria generale del diritto e il marxismo, cit., p. 145.

[19] Ivi p. 148.

[20] Ivi p. XVI.

[21] Stalin, Rapporto al XVIII Congresso del partito sull’attività del Cc del Partito comunista (b) dell’URSS in Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita, Roma 1952.

[22] La teoria generale del diritto e il marxismo, cit., p. 14.

[23]   Ivi p. XVIII.