Eva Cantarella / Diversità e analogie in Sparta e Atene

Eva Cantarella, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia, Einaudi, pp. 196, euro 15,00 stampa, euro 7,99 epub

A oltre due millenni di distanza dall’età d’oro della Grecia classica, ancora non si è spento l’eco della contrapposizione tra le due principali città-stato (o stati-città, come sostiene l’autrice). Il motivo è naturalmente da imputarsi ai modelli politici opposti che Atene e Sparta hanno rappresentato nel dibattito ideologico occidentale – occorre aggiungere, modelli a doppia faccia, dal momento che l’una e l’altra città sono state chiamate in causa in contesti diversi per legittimare posizioni anche antitetiche.

Questo saggio di Eva Cantarella, per molti versi innovativo, non si rivolge agli “addetti ai lavori”, benché secondo il mio parere anche gli appassionati di storia greca vi troveranno concetti interessanti, soprattutto a proposito della condizione femminile. Lo snello tascabile della collana Stile Libero VS (versus) è organizzato in modo semplice: riassume istituzioni sociali e politiche dell’una città e dell’altra, poi le mette minuziosamente a confronto; segue infine un breve excursus sull’uso dei due modelli nella storia moderna, dalla Rivoluzione francese a Donald Trump. E le conclusioni di Cantarella sorprendono e fanno pensare a quanto spesso pregiudizi strafilati influiscono sulla nostra percezione della storia.

Occorre innanzitutto specificare che la disponibilità dei materiali rende difficile un confronto su scala globale: la ricostruzione della civiltà lacedemone si basa soprattutto su fonti indirette, dal momento che Sparta è stata pressoché cancellata dalla Storia, mentre al contrario per Atene abbiamo abbondanti reperti di prima mano. Pur con questa difficoltà, e mettendo a confronto le fonti classiche ostili a Sparta come Aristotele con quelle filo-spartane come Senofonte, Cantarella giunge a una considerazione tutto sommato inattesa: “La Sparta e la Atene che oggi vediamo e di cui cerchiamo di approfondire la conoscenza non sono città opposte e incompatibili: sono certamente diverse, ma nessuna delle due è unica. Sono due città la cui appartenenza a un modello comune fa sì che al loro interno emergano diversità e analogie che contribuiscono allo studio della natura della polis.” [p. 187]

La storia greca classica ruota notoriamente intorno al rapporto tra le due “superpotenze” dell’epoca. Nel passaggio dall’età antica a quella classica, esisteva tra le due città un certo livello di relazioni: entrambe si dichiaravano sotto la protezione di Atena, dea della guerra; fu Sparta a riportare la democrazia in Atene nel 510 a.e.v., contribuendo a rovesciare i figli del tiranno Pisistrato (salvo poi tentare di influenzarne la politica in senso oligarchico), e notoriamente le due città furono strette alleate durante le guerre persiane: le rispettive falangi vinsero a Platea combattendo fianco a fianco, così come le due flotte congiunte (insieme a quelle delle altre poleis) distrussero a Micale quella del Gran Re.

Le buone relazioni non durarono a lungo, perché il sorgente imperialismo ateniese minacciava da vicino la supremazia spartana: lì sono le radici dei ventisette anni di guerra del Peloponneso, combattuta dalla Tracia fino alla Sicilia, che vide Sparta vincitrice, ma che determinò una situazione di supremazia durata solo trent’anni. Cantarella si incarica di sfatare quelli che con il tempo sono divenuti miti duraturi, per esempio il fatto che l’educazione lacedemone non fosse basata sulla pederastia come in Atene, o la convinzione che nell’agoghé spartana l’aspetto culturale fosse gravemente trascurato. La democrazia ateniese, anche dopo le riforme di Pericle basata su una porzione ristretta di cittadini che possedevano un determinato censo, non ha caratteri tali da discostarsi in maniera significativa dal governo delle altre poleis, compresa Sparta che pure si fondava su una limitata oligarchia del sangue.

Una dissomiglianza più sensibile, sulla quale mette giustamente l’accento l’autrice, è rintracciabile nella condizione femminile. È noto che nello stato lacedemone la donna era incomparabilmente più libera che nel resto della Grecia – cosa che scandalizzò Aristotele. A Sparta per esempio, dal V secolo in poi, anche le figlie femmine potevano ereditare i terreni, e “la componente femminile non era considerata dal punto di vista intellettivo naturalmente inferiore a quella maschile, come altrove e in particolare ad Atene.” [p. 146]

Dunque, pur in presenza delle particolari specificità della società lacedemone – percorso educativo anche per le femmine, assenza di schiavitù (sostituita dal lavoro degli iloti, simile alla servitù della gleba medioevale), monarchia duplice che anticipa il consolato romano, scarsa importanza dei legami familiari, addestramento militare continuo per gli spartiati maschi, maggiore libertà sessuale e accettazione dell’omoerotismo femminile – Cantarella conclude che “la diversità che ha indotto per millenni a farne due modelli antitetici [è] un’antitesi costruita sulla valutazione delle differenze in singoli aspetti delle loro istituzioni politiche e sociali, nessuna delle quali è incompatibile con la loro appartenenza al modello che le accomunava, e quindi al mondo di quelle poleis le cui risse, rivalità e guerre sono state una costante dell’intera storia greca.”