Eugenio De Signoribus / Cupra Marittima-Genova, andata e ritorno

Eugenio De Signoribus, Ceneri germogli ceneri, Mondadori Lo Specchio, pp. 175, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

La poesia esercita la propria vocazione attraverso, spesso, una lingua a cui certi poeti si raccolgono presso una verità della vita dentro la vita: tanto più appartati sono, tanto più una nobiltà esistenziale, fatta di discrezione e educazione, s’imparenta col nitore di sguardo – con quell’ostinata (parole di Giovanni Raboni) tenerezza verso la realtà, nonostante ferite, crudeltà umane e fatti cruenti. Proprio con Istmi e chiuse, raccolta che segna il passo della poesia alla metà degli anni Novanta, la mappa territoriale (le Marche, innanzitutto) in cui si assesta la ricerca di Eugenio De Signoribus diventa guida per molti noi, e luogo di frontiera di diverse coordinate geografiche. E mentali. L’incisività tenace dei versi s’era già dimostrata in Case perdute, col suo stile collocato “fuori dal centro” della ricerca corrente in quel 1986 quando uscì a Ascoli Piceno (nella rivista “Marka”) la prima edizione. Esordio più volte rielaborato, in concomitanza con l’uscita del successivo Altre educazioni (Crocetti, 1991). È in queste pagine che diventa significativa la presenza della materia di “ferro e carne”, quella che il poeta sente avvicinarsi pericolosamente alle radici familiari, senza dubbio indebolite dalla violenza dei precedenti e ingarbugliati anni italiani.

Pubblico e privato sono iniettati nella stessa forma, sempre più resistente a un mondo che sta per esplodere. Libro dopo libro, il fare domestico s’unisce a certi esodi che vogliono accarezzare le migrazioni viste sempre dal luogo natìo, così vicino e di fronte alle porte orientali, a quel mare Adriatico testimone di viaggi perigliosi, naufragi e morti. È il quadro bellico del nuovo millennio a dover chiedere perdono, nella scrittura di Eugenio, per gli scempi autenticati dai poteri. Testimone di pensiero, segue il corso degli eventi portandolo al confine di due mari, l’Adriatico e il Ligure, diversi di carattere ma uguadi d’amicizia, perché Genova e i genovesi hanno scandito molti momenti e appuntamenti con il poeta marchigiano – come dimostra il bel volume Veglie genovesi (Il Canneto, 2013). Confidenze e dialoghi lontani da pause, avendo sia Campana che Caproni (non dimenticando il primo Montale) come misure manifeste di discorso e dialoghi.

In questo distonico 2025 giunge nello Specchio Ceneri germogli ceneri che nuovo è e non è, slargo di una corrente il cui flusso dura da quattro decenni: seguendo l’idea che venne a Raboni di conglomerare gran parte del suo lavoro nel ricostitutivo A tanto caro sangue (1988), De Signoribus compie una scelta “avvenuta in un breve tempo, complicato e infelice”, non cronologica ma insistente su spinte emozionali, allineando un centinaio di testi con almeno dodici inediti. Introdotto da Stefano Verdino (a proposito di attenzioni genovesi) un rinnovato cammino dove, varcando “chiuse” e slarghi meditativi appare il “vero” leopardiano per cui il poeta può sentirsi meno solo di fronte ai difetti della realtà. Un continuo faccia faccia ora trova il suo diario personale, senza assoluzioni, che si trasforma in quaderno collettivo alle stazioni novecentesche riportate negli attuali anni Venti. Dunque questo libro “nuovo” è luogo benefico dove esercitare memoria, storia, e orientamento poetico. Qualunque disciplina può venire a paragonarsi in Ceneri germogli ceneri: opera che sconfessa le false idee di verità millantate per ogni dove dagli attuali volgari governanti del villaggio planetario.