Già acclamato autore di racconti con The Everlasting Sunday (2018), l’australiano Robert Lukins azzarda i tempi lunghi del romanzo facendo tesoro, come spesso accade agli scrittori, di un luccicante scampolo di autobiografia. Tra un mestiere e l’altro – prima di votarsi all’arte in qualità di giornalista e ricercatore – eccolo, per un anno, portalettere in Inghilterra e, precisamente, nella contea dello Shropshire. Nel paesaggio di colline percorso in bicicletta, il giovane Lukins s’imbatte in una grande villa abbandonata: sarà lei, “la Casa”, lo scrigno ideale di Un’eterna domenica.
A isolarla da tutto, oltre all’esecrabile fama di “collegio” per ragazzi indesiderati, è l’Inverno, il Big Freeze che paralizzò l’Inghilterra nel 1962. La neve sferzante, il bianco atroce, poi, dalle quinte immote del maniero, un clamore di giovani voci accoglie un giorno il diciassettenne Radford, spezzando per un attimo l’anatema del castigo: la cacciata dall’Eden, la famiglia in cui non sarà più ammesso. Perché la sua, come quella degli altri ospiti della Casa – dimora fatiscente e scevra di una qualsivoglia patina di istituzionalità – è già stata una vita violenta e, se per Radford l’unica redenzione sembra essere il suicidio (“il suo gesto più teatrale”), per West, “bello e assoluto”, salvarlo e proteggerlo è semplice come respirare. Lui è il primo di quella ciurma arruffata di coetanei – Foster, Brass, Lewis, Snuffy, una dozzina in tutto – a insegnargli a sopravvivere, “a restare vivo”, compito non facile nemmeno per gli adulti di Goodwin Manor. L’amorevole e materna Lillian, cuoca tuttofare, Teddy “direttore” fragile e un po’ folle e, tra gli insegnanti, il timido e taciturno Manny, maestro nell’arte dell’elettronica (alla quale, dopo poche lezioni, Radford s’appassionerà). La loro autorevole indulgenza non basterà, tuttavia, a scongiurare la tragica rottura di un equilibrio perennemente minacciato: la rabbia e il furore di un gesto colpiranno per sempre Radford e gli abitanti della Casa, come storni uccisi dal rude inverno prima di spiccare il volo.
Più angry young men che enfants terribles, i ragazzi di Un’eterna domenica – raffigurati magnificamente dalla prosa lirica e tersa di Lukins – con il loro ribellismo acerbo e doloroso sembrano tutti figli di Jimmy Porter, indimenticato protagonista di Ricorda con rabbia, e del suo stesso autore, quel John Osborne che nel 1956 esibì, dai palcoscenici di Londra, tutto il suo sdegno antiborghese. E proprio una scena di quella commedia, Radford e compagni reciteranno la notte di Capodanno davanti a un paese incredulo e partecipe. Un’idea di Teddy. Tanto bizzarra quanto il suo paterno lascito a Radford: “Ti daranno un sacco di consigli. Ti diranno cosa fare, di sviluppare un carattere. Io dico di no. Butta quelle idee nel fuoco. Rimani vuoto, se è quello che sei. Esistere può essere abbastanza”.