Canadese, docente di Storia della Medicina presso l’Università di Saskatchewan, l’autrice ha pubblicato negli ultimi venti anni vari studi scientifici sia sull’uso di LSD nella psichedelia psichiatrica che sull’eugenetica e il controllo natale della popolazione. Di taglio storico divulgativo, questo nuovo libro di Erika Dyck, arricchito da un nutrito corredo di foto e illustrazioni, è una strenna che non si rivolge al lettore accademico quanto al pubblico indeterminato, generalista, senza escludere a priori il possibile e variegato mondo della scolastica. Una prospettiva “enciclopedica” che a prima vista sembra prospettare un “viaggio” antropologico che dall’antico Egitto, passando per il fuoco di Sant’Antonio del Medioevo cristiano e le culture precolombiane, condurrebbe dritto agli Acid Test di Ken Kesey. Non è così. È sicuramente la storia delle sostanze che identifichiamo con l’alterazione degli stati di coscienza, ma soprattutto la storia di quelle pratiche – religiose, cerimoniali, di potere – rese inseparabili dal contesto sociale dove ha luogo la performance. Pratiche, a scanso di equivoci (almeno da un paio di secoli prettamente occidentali e coloniali), destinate a rivelare per ora sul nostro conto assai più che sulle culture cosiddette primitive.
Il termine “psichedelico” non rimanda del resto a una struttura organica precisa, comune a peyote, ayahuasca o entactogeni come MDMA. Il termine stesso è recente e risale soltanto agli anni ’50 quando l’interesse psichiatrico per l’assunzione terapeutica di queste sostanze sboccia tardivamente nella pratica clinica sperimentale. Una svolta culminata in una rivoluzione culturale folgorante, finita però nel breve volgere di un decennio e seguita dalla stagione del più oscuro proibizionismo poliziesco, almeno fino ai prodromi del recente “rinascimento psichedelico” che Dyck tratta nell’ultimo capitolo.
La storia delle piante sacre e degli psichedelici, resta quindi inseparabile dalla comprensione delle usanze indigene e dalle culture tradizioni specifiche, rese a lungo incomprensibili dalla prospettiva “pan indigena” dei vecchi antropologi vittoriani. Dyck si concentra invece sulle fasi storiche che hanno portato l’Occidente, a partire dalla seconda metà dell’ottocento, dapprima alla “scoperta” delle piante sacre e, successivamente, al loro sfruttamento su scala industriale globale. Una intrapresa che ha visto colossi tedeschi come Merck e Bayer in testa nella più formidabile corsa all’oro della chimica contro i loro competitor francesi e americani: quella degli alcaloidi e, più in generale, delle nuove sostanze farmaceutiche e ricreative. Isolata la molecola della coca (1887), l’ingrediente segreto di qualsiasi tonico del tempo, la mescalina viene separata dal peyote (1897), ed è solo questione di pochi anni per la sintesi del MDMA (1912), forse il composto empatogeno più famoso di sempre. Alcune “scoperte” furono del tutto casuali, come quella francese della ibogaina, sostanza psicoattiva derivata dalle piante della gomma, isolata nel 1901 e utilizzata per combattere l’astinenza da morfina (ironicamente il primo alcaloide a essere sintetizzato in laboratorio nel lontano 1801.
Come “propellente della creatività” in Europa, le droghe e gli stimolanti sono di casa tra artisti e scrittori nella Parigi del XIX secolo, nei circoli dove si comincia a sperimentare assenzio, hashish, oppio. Un secolo dopo, l’esperienza della mescalina divide Jean-Paul Sartre (entusiasta) da Simone de Beauvoir, (sgradevolmente sorpresa), mentre Aldous Huxley inizia a indagare le “porte della percezione” (e i limiti di una normalità sempre più stretta) d’intesa con lo psichiatra Humphry Osmond. La definitiva democratizzazione di questa tendenza culmina negli anni ’60 con l’exploit della cultura underground americana e del movimento hippie: i laboratori clandestini spuntano come funghi mentre il mondo scopre che psichiatri come Timothy Leary o tecnici della Dow Chemical come Sasha Schulgin sono nel frattempo diventati i frati laici e guerrieri del nuovo culto psichedelico, quello che negli stessi anni mobilita centinaia di migliaia di accoliti ai concerti di Grace Slick e dei Grateful Dead.
Salto evolutivo, azzardo etico o deviazione generazionale la prima stagione della psichedelia si concluse con quella della repressione più feroce. La seconda, più rispettosa e consapevole del nostro smarrimento, è appena cominciata e tuttora in corso. Il viaggio negli stati alterati di coscienza sembra ripartire oggi da una ricerca che questa volta dovrà comprendere la “conoscenza del loro potenziale e in ultima analisi di noi stessi e della nostra storia”.