A trent’anni dalla prima pubblicazione Techgnosis – ora riproposto nella nuova traduzione di Francesca Massarenti, con le postfazioni di Davis alle due successive edizioni del 2005 e del 2016 – si offre oggi, con qualche anacronismo ma con diverse ragioni in più di ieri, a una lettura appassionante. Non solo conserva infatti intatto il fascino di un’indagine che ha saputo scavare sotto la traccia dell’hype mediologico di un’epoca – i primi anni ’90 – traboccante genuino ed escatologico entusiasmo per Internet, le Realtà Virtuali e le “autostrade dell’informazione” (copyright Al Gore), per cui anche l’autore ammette ora di provare una vibrazione di nostalgia, ma invita a guardare, da un punto di vista non puramente distopico o razionalmente conforme, anche al lato arcano ed enigmatico di tutto ciò che è successo e che abbiamo conosciuto dopo di allora. E quindi piattaforme globali controllate da miliardari estropici e transumanisti, l’attesa millenaristica della Singolarità di fronte alla Terza Ondata dell’accelerazionismo cinese; i droni assassini e le AI antropomorfe venerate e temute come il Golem; possessioni da Big Data e radicalizzazioni online; shitstorming e complottismo memetico da social. Se ci guardiamo attorno osserviamo una mitopoiesi che affonda le sue genealogie nelle viscere delle nostre società dell’informazione per riaffiorare sempre più spesso nella versione incasinata di Ermete Trismegisto e non solo in quella trionfale di Prometeo.
L’osservazione di Arthur C. Clarke, scrittore di fantascienza hard, secondo cui “qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”, è, secondo Davis, una frase spesso citata a sproposito, per sottolineare l’efficienza sensibile o l’opacità della tecnica, ma anche una battuta “che meriterebbe un’analisi più minuziosa di quanta ne riceva di solito”. Tutto il libro corrisponde, in un certo senso, al tentativo di ricomporre la complessità di questa analisi, nei tempi lunghi e poco giornalistici della cultura occidentale. Una mostruosa e certosina accumulazione di dati, frammenti e riflessioni che in ogni epoca – ma con particolare riferimento all’immaginario “elettromagnetico” della seconda industrializzazione e alla cultura nerd dell’era digitale – hanno rivelato l’intreccio tra mondano e soprannaturale, folklore esoterico e rivoluzioni tecnologiche. Poco importa se per citofonare nell’oltretomba, inventare i mondi fantasy di Dungeons & Dragons o far emergere, con la tridimensionalità degli oggetti VRML, la corteccia coscienziale della “noosfera” dallo schermo dei computer. Erik Davis, che collega per fili sottili, ma sottilmente discriminanti, il misticismo sufi di Gurdjieff all’autoritarismo fantascientifico di Dianetics, il programmatore Mark Pesce al visionario Pierre Teilhard de Chardin, il Gioco delle Perle di vetro di Hess alla nascita del World Wide Web, i culti New Age a un teorico compassato come Pierre Levy, fa propria in fondo anche l’osservazione di un altro autore, Philip K. Dick, che in Valis avvertiva: “I simboli del divino si mostrano nel nostro mondo inizialmente allo stato di spazzatura”.
Il saggio risale alla gnosi di Giustino per dirci che il mito in fondo è sempre lo stesso: trascendere la prigione della carne, in cui qualche Demiurgo incompetente ci vorrebbe per sempre incastrati, per passare grazie alla Macchina al livello successivo. Liberare la scintilla divina, la “forza vitale” che distingue gli umani, o per lo meno gli eletti tra loro, per entrare nel regno dello Spirito, che già Gioacchino Fiore indicava, un millennio prima di Hegel, come final destination di qualsiasi filosofia della storia. In questa corsa verso l’alto e verso il fuori, ascesi e ingegneria, scienza e magia, contrariamente a quanto si dice si sostengono spesso a vicenda.
Scrittore, giornalista, public speaker, Davis è un autore a suo agio tra i paesaggi spirituali come tra le sottoculture tech della California. Nel suo ultimo libro, High Weirdness (2019), per i tipi di MIT Press, si è occupato di tre figure guida come Philip K. Dick, Terence McKenna, e Robert Anton Wilson. Come ha osservato proprio l’“altro Wilson”, l’amico Peter Lamborn Wilson (Hakim Bay), nel commentare il libro: “La religione è un perfetto provider di contenuti (è già virtuale) e la tecnognosi è la religione perfetta per un mondo in cui il Capitale è dio. Prima di registrarvi per effettuare il download della vostra coscienza, però, fareste meglio a leggere Erik Davis”.